Un caso emblematico di conflitto ambientale

Fonte immagine di Alessandra Innocenti
Ufficio Policy Focsiv – Nell’ambito della nostra attenzione verso il tema del land grabbing (Land Grabbing e Agroecologia – Focsiv) ospitiamo qui l’articolo di Alessandra Innocenti, corpo civile di pace presso Red Muqui con l’associazione CoPE, a Lima in Perù.
Questo 19 settembre è stato imposto alle poche famiglie che ancora resistevano alle pressioni dell’impresa minera Chinalco di lasciare le proprie case. Lo sgombro ha avuto inizio alle 11 di mattina e coinvolto tutti i residenti, uomini e donne, anziani e bambini. Al momento non sanno cosa gli riserverà il domani, costretti ad abbandonare le proprie case che verranno presto rase al suolo dall’impresa.
La storia comincia nel 2007. L’impresa Aluminion Corporation of China (Chinalco) apre una filiale in Perù con l’intento di lanciare negli anni successivi il mega-progetto Toromocho. Pensato per l’estrazione di rame e molibdeno, vorrebbe installarsi nel territorio dato in concessione dal governo, che comprende l’area urbana di Morococha.
Ci troviamo nel dipartimento di Junin, a più di 4000 metri d’altezza. Tra lagune azzurre e picchi innevati, Morococha è solo uno dei tanti, piccoli centri urbani della zona. La regione ha ospitato progetti estrattivi di varia grandezza già dal 1700. Ancora una volta, un’impresa si propone alla comunità locale come un operatore di cambiamento. Purtroppo ciò che seguirà saranno anni di pressioni, conflitto e imposizioni.
Infatti nel 2009 Chinalco presenta la Valutazione di Impatto Ambientale, dove si impegna ad assumere manodopera locale, a fornire alloggi agli abitanti in un nuovo centro abitato (conosciuto oggi come “Nuova Morococha” presso Caruacoto) e a collocare l’accampamento dei lavoratori vicino alla nuova città. Tra la comunità e l’impresa non verrà mai firmato un accordo quadro, né a molto serviranno i 10 anni successivi di Mesa (tavolo) de Dialogo. Chinalco ha mancato agli accordi in vario modo: ha spinto gli abitanti della città a trasferirsi in una zona esposta a rischi ambientali (di natura idrogeologica), di contaminazione e in una zona senza attrattive economiche. L’accampamento dei lavoratori è stato collocato molto lontano da Nuova Morococha, rispondendo a requisiti standard che non sono stati condivisi con la popolazione. Al momento gran parte della comunità si trova alloggiata in una vera e propria città fantasma.
Alcune famiglie, per un totale di 40 persone, hanno rifiutato fino ad oggi di spostarsi. Hanno tentato di sollecitare l’impresa, prendere parte agli incontri della Mesa di Dialogo e raggiungere accordi per un reinsediamento degno. La risposta dell’impresa è stata quella di rivolgersi a un tribunale e sfrattare gli inquilini, mettendoli in una condizione di estrema fragilità.
Per guadagnare una posizione di forza, l’impresa ha spesso fatto ricorso a mezzi poco trasparenti. Come la compravendita avvenuta per suo conto di 34 ettari di terreno da parte di Activos Mineros, impresa estrattiva pubblica peruviana. Dopo aver acquisito il terreno dall’amministrazione pubblica, l’impresa ne ha subito trasferito la proprietà a Chinalco, permettendole così di espandere le operazioni.
Inoltre, uno degli elementi chiave del caso è lo sfruttamento indebito da parte dell’impresa della Legge di Rischio Non Mitigabile (n. 29869). Questa stabilisce come obbligatorio lo spostamento di persone che abitino in una zona esposta a considerevoli rischi per via di condizioni ambientali estreme. Sebbene chiaramente ciò non implichi la vicinanza a un progetto estrattivo o l’esposizione a sabbiature e contaminazione, questa legge è stata strumentalizzata per costringere la popolazione a spostarsi.
Resistevano, come già evidenziato, solo poche famiglie. Si erano già ridotte dopo l’arrivo dell’ordine di sfratto, che il tribunale della città di Oroya ha confermato considerando l’opposizione delle famiglie come infondata. È stata tenuta una conferenza stampa per diffondere la notizia e le testimonianze degli ultimi abitanti dell’Antica Morococha un giorno prima di porre in esecuzione l’ordinanza.
Si esprimono una manciata di persone, quelle elette a rappresentanza degli interessi della comunità. Parlano di un futuro di incertezza, che li lascia paralizzati. Di temere di essere esposti alla contaminazione nella nuova città, di dover lasciare tutto quello che conoscono. Ribadiscono di aver cercato il dialogo, in numerose occasioni. Di aver chiesto solo la possibilità di lavorare e un reinsediamento degno, nel rispetto dei loro diritti. Molti si commuovono, arrivano alle lacrime. Si espongono per farsi ascoltare, rendere noto quello che sta accadendo. Sperando che serva a qualcosa, che cambi in qualche modo la sentenza.
Purtroppo invece il desalojo (lo sgombero) comincia puntualissimo alle 11, quando la polizia blocca l’accesso alla vecchia città e comincia a svuotare le prime case. Le immagini trasmesse in diretta mostrano l’impotenza dolorosa delle famiglie, che si ritrovano in strada mentre tutti i loro averi vengono raccolti e gettati in mezzo alla strada. Anche gli animali vengono portati via, assieme agli abitanti che vengono caricati su alcuni furgoni. Destinazione ignota.
Purtroppo questo caso, emblematico per molte ragioni, è solo un esempio di quanto possa costare la mancanza del raggiungimento di un accordo tra imprese e cittadinanza. I progetti estrattivi in Perù hanno ampio spazio di manovra, grazie alle grandi porzioni di territorio che vengono date in concessione e messe a disposizione delle imprese. Nel processo di negoziazione, lo Stato è praticamente assente. Ciò espone la popolazione a violenze e soprusi, nonostante spesso nasca una resistenza locale che si oppone ai progetti con coscienza delle possibili conseguenze negative che può comportare.
In questo scenario, quello che ci si auspica è che città come Morococha, in un futuro non troppo lontano, possano avere accesso a una difesa dei propri diritti mediata anche da uno Stato che da valore alla volontà delle comunità locali. In particolare, chi decide di autodeterminarsi rifiutando che un progetto estrattivo abbia accesso al suo territorio in maniera indiscriminata, dovrebbe venir tutelato.