Equità e giustizia climatica per la COP29.
Fonte immagine – The 2024 Civil Society Equity Review
Ufficio Policy Focsiv – Dopo il rapporto presentato l’anno scorso (vedi Per un’eliminazione equa dei combustibili fossili – Focsiv), anche quest’anno, per la COP29, è stato pubblicato l’annuale Civil Society Equity Review, firmato anche da Focsiv, di cui di seguito riportiamo gli aspetti principali.
Il rapporto mette al centro i principi di giustizia climatica e sociale, ovvero la necessaria e urgente riduzione delle emissioni di gas serra deve essere realizzata tenendo conto delle diverse responsabilità di chi ha generato il problema (grandi paesi ed élite ricche), e delle capacità di farvi fronte a seconda delle condizioni finanziarie, economiche, e sociali (minori per i paesi e le classi impoverite e più vulnerabili e meno responsabili). Per questo c’è bisogno di una equa distribuzione degli impegni e dei costi.
Il rapporto sottolinea come, nonostante decenni di negoziati, il mondo si stia avvicinando pericolosamente a un punto di non ritorno a causa del riscaldamento climatico. Esso rappresenta una delle crisi più complesse e pericolose affrontate dall’umanità, e richiede un ampio cambiamento sistemico: senza uno sforzo equamente condiviso, l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale al di sotto di 2°C e circoscriverlo a 1.5°C, come stabilito dall’Accordo di Parigi, non può avere successo. Tuttavia, l’azione globale è stata frenata da disuguaglianze sistemiche e inerzia storica, che riflettono i complessi intrecci di capitalismo, colonialismo, debito ecologico e disuguaglianze tra Nord e Sud del mondo. Il report enfatizza che il ritardo prolungato e l’inazione nella risposta alla crisi climatica hanno peggiorato le sue conseguenze, rendendo il percorso verso una transizione giusta e sostenibile sempre più difficile e costoso.
Vediamo quali sono i principali problemi individuati.
- Responsabilità storica e inerzia del Nord Globale
I paesi ricchi e ad alta emissione di gas serra del Nord Globale hanno mancato di “guidare la lotta contro il cambiamento climatico”, come richiesto dalla Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC; vedi Il difficile processo delle Nazioni Unite per salvare l’umanità in questo pianeta); ciò si è manifestato nella mancanza di azioni concrete sia a livello nazionale, sia rispetto al supporto finanziario e tecnologico promesso ai paesi del Sud del mondo, i quali non hanno potuto così muovere passi decisivi per la transizione energetica.
Inoltre vi è una forte disuguaglianze nell’emissione di gas serra: il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile di quasi metà dell’aumento delle emissioni dal 1990, mentre il 50% più povero ha contribuito con meno del 10%. Dunque sono le élite globali a compromettere il percorso verso 1.5°C, riflettendo disuguaglianze sistemiche sia tra paesi che all’interno di essi.
- Dipendenza globale dai combustibili fossili
Nonostante gli impegni presi durante la COP28 per abbandonare i combustibili fossili, molti governi, inclusi alcuni dei maggiori produttori di petrolio e gas, continuano ad espandere le loro attività estrattive (vedi La decarbonizzazione richiede progetti ambiziosi e significativi), mettendo a rischio gli obiettivi climatici globali, nonché i diritti umani e dei lavorati. Il rapporto evidenzia come le cinque maggiori compagnie petrolifere abbiano aumentato drasticamente la produzione dal 2015, destinando fino al 100% degli investimenti a petrolio e gas, anziché eliminarli gradualmente ed investire nelle energie rinnovabili. I piani di estrazione attuali dei governi porterebbero a una produzione di carbone, petrolio e gas rispettivamente del 460%, 29% e 82% superiore a quella necessaria per limitare il riscaldamento globale a 1,5°C. L’Equity Review sottolinea, dunque, come nessun paese sviluppato abbia presentato un piano di riduzione delle emissioni (NDC) che si avvicini alla sua giusta quota di impegno.
- Fallimento nei finanziamenti climatici
I progressi in materia di finanziamenti per il clima sono stati peggiori di quelli relativi all’azione interna per il clima: i paesi sviluppati non hanno raggiunto l’obiettivo di fornire 100 miliardi di dollari annui entro il 2020, e gran parte dei finanziamenti dichiarati consiste in prestiti che aggravano il debito dei paesi in via di sviluppo (vedi Il debito del Sud e le istituzioni finanziarie internazionali); le politiche governative, invece, dovrebbero garantire che nessuna comunità sia gravata in modo iniquo e sproporzionato.
Tra l’altro, l’entità reale dei finanziamenti necessari è stimata essere almeno dieci volte superiore rispetto a quella stabilita, considerando i costi di adattamento, mitigazione e perdita e danni nei paesi più vulnerabili.