I limiti dell’accordo Cop15 sulla biodiversità
Fonte immagine: In a bottle Magazine
Ufficio Policy Focsiv – La conferenza delle parti delle Nazioni Unite per la protezione della biodiversità si è conclusa pochi giorni fa a Montreal in Canada. La conferenza è un processo negoziale importantissimo per la sopravvivenza dello stesso genere umano: la biodiversità è necessaria per la vita delle specie, tra cui quella umana.
Purtroppo gli scienziati evidenziano come sia in corso la sesta estinzione di massa (https://ec.europa.eu/research-and-innovation/en/horizon-magazine/sixth-mass-extinction-could-destroy-life-we-know-it-biodiversity-expert), legata anche al cambiamento climatico, e causata dai modelli di produzione e consumo dell’uomo. La matrice estrattivistica della nostra economia è senza limiti, ma se vogliamo proteggere la biodiversità occorre decelerare e trovare nuove forme di convivenza tra le specie.
L’impostazione delle COP è invece ancora in gran parte “vecchia” e salda nel proteggere la natura recintando nuovi parchi, pagando per questo i paesi impoveriti (ma con grande difficoltà come si può leggere nel sunto seguente), mentre continua l’accaparramento delle risorse critiche per il nostro sviluppo (https://www.focsiv.it/category/pubblicazioni/pubblicazioni-landgrabbing-pubblicazioni/). Deve ancora crescere la consapevolezza culturale della necessità di un cambiamento profondo del nostro antropocentrismo, come chiesto nell’enciclica Laudato Sì, e quindi di una trasformazione dei nostri modelli di vita in linea con il buen vivir che rispetta la Pacha Mama Madre Terra (https://www.brennpunkt.lu/en/horizon-des-possibles-buen-vivir/) .
Il seguente è il riassunto degli articoli “The Guardian view on the Cop15 agreement: nations must do more for nature” (https://www.theguardian.com/commentisfree/2022/dec/19/the-guardian-view-on-the-cop15-agreement-nations-must-do-more-for-nature), “Cop15: historic deal struck to halt biodiversity loss by 2030” (https://www.theguardian.com/environment/2022/dec/19/cop15-historic-deal-signed-to-halt-biodiversity-loss-by-2030-aoe), pubblicati sul giornale “The Guardian”, e “COP15: Biodiversity conference ‘fails’ to protect Indigenous people’s rights” pubblicato da Amnesty International UK (https://www.amnesty.org.uk/press-releases/cop15-biodiversity-conference-fails-protect-indigenous-peoples-rights)
Dopo oltre quattro anni di negoziati e ripetuti ritardi dovuti alla pandemia di Covid-19, alla Cop15 a Montreal quasi 200 Paesi – ma non gli Stati Uniti e il Vaticano – hanno firmato un accordo sulla biodiversità, per mettere l’umanità sulla strada di una vita in armonia con la natura entro la metà del secolo. I 23 obiettivi dell’accordo sulla biodiversità annunciati alla COP15 a Montreal non sono però sufficienti per prevenire ulteriori perdite irrecuperabili, anche tra le tante specie minacciate di estinzione. L’accordo non è giuridicamente vincolante, il che porta a preoccupazioni circa le prospettive di attuazione. Il track record di applicazione dei piani per la biodiversità globale è sconfortante. La conferenza COP15 ha offerto un’opportunità irripetibile per fissare obiettivi ambiziosi volti a proteggere la diversità della flora e della fauna del pianeta, ha affermato Amnesty, un’ambizione che non è stata pienamente realizzata.
Il nuovo accordo è stato finalizzato nonostante le denunce dei paesi africani, tra cui la Repubblica Democratica del Congo (RDC), sede di una delle più grandi foreste pluviali del mondo, minacciata dall’esplorazione di petrolio e gas. Il negoziatore della RDC ha provato a bloccare l’accordo finale presentato dalla Cina, dicendo alla plenaria che non poteva sostenerlo nella sua forma attuale perché non prevedeva la creazione di un nuovo fondo per la biodiversità, separato dall’esistente fondo delle Nazioni Unite per l’ambiente globale (il Global Environment Fund). Tuttavia, pochi istanti dopo, il ministro dell’Ambiente cinese e il presidente della Cop15, Huang Runqiu, hanno segnalato che l’accordo sul fondo era concluso e concordato, e la plenaria è scoppiata in un applauso. I negoziatori del Camerun, dell’Uganda e della RDC hanno espresso incredulità per il fatto che l’accordo sia stato raggiunto.
I risultati del processo negoziale della Cop15 sono insufficienti, probabilmente anche più dei negoziati sul clima delle Nazioni Unite (COP27). In entrambi i casi, è facile essere sopraffatti dall’ampiezza delle sfide presenti e dai fallimenti del passato. Molte delle decisioni e delle promesse fatte ora sarebbero state preveggenti se fossero state prese decenni fa. Detto ciò, la cooperazione internazionale è così vitale per gli sforzi in corso volti a limitare ulteriori danni che la firma dell’accordo in una conferenza co-ospitata da Canada e Cina deve essere accolta come uno sviluppo positivo.
L’obiettivo noto come “30 per 30”, che significa un impegno a proteggere il 30% del pianeta – terra e mare – entro la fine del decennio, è considerato positivamente e ha buone possibilità di essere adottato dai paesi. Anche il concetto di piani nazionali per la biodiversità, con una funzione simile ai contributi determinati a livello nazionale nel processo climatico delle Nazioni Unite, è valido. L’ONU ha un ruolo chiave da svolgere come promotore della politica ambientale, ma sono i governi nazionali che prendono la maggior parte delle decisioni e che determinano il rispetto degli impegni. Anche il linguaggio forte sui diritti dei popoli indigeni nell’accordo è stato apprezzato e legato al riconoscimento dei danni ecologici, oltre che dei benefici, dello “sviluppo”.
L’eliminazione dalla bozza finale di un obiettivo di aumento del 5% degli ecosistemi naturali entro il 2030 è stata invece un’occasione mancata. Senza obiettivi specifici, il pericolo è che le buone intenzioni svaniscano. Altri problemi includono la mancanza di un impegno per affrontare i modelli di consumo, soprattutto nel ricco occidente, che richiedono lo sfruttamento di enormi risorse naturali finite, oltre a produrre grandi quantità di carbonio. Le diete, in particolare quelle occidentali ricche di carne, dovranno cambiare se si vuole avere qualche possibilità di conservare habitat, tra cui in Amazzonia, dove l’allevamento del bestiame porta alla deforestazione.
Ma l’accordo è un passo avanti, e la speranza deve essere che l’orientamento della politica cambi ora – come ha fatto per quanto riguarda il clima – per porre maggiormente l’accento sulla conservazione e il ripristino della natura. I governi africani hanno svolto collettivamente un ruolo importante nell’assicurare progressi a Montreal, e il trattamento riservato alla RDC nella sessione finale non deve essere sorvolato. La giustizia sociale è in pericolo a causa della crisi della biodiversità, come in quella climatica. Affinchè il processo Cop per la biodiversità funzioni, le Nazioni Unite devono garantire che tutte le voci vengano ascoltate.