La crisi climatica e la nuova normalità di cui non siamo consapevoli
Fonte Climate Disasters Daily? Welcome to the ‘New Normal.’ – The New York Times
Ufficio Policy Focsiv – Diffondiamo qui un articolo di Mario Carmelo Cirillo[1] e Franco Padella[2] su come non ci sia ancora resi conto della, purtroppo, nuova normalità della crisi climatica, e di come sia indispensabile procedere speditamente verso misure di adattamento ai diversi livelli amministrativi e geografici per il benessere nostro, delle nuove generazioni e delle comunità più vulnerabili; la solidarietà e la fratellanza si devono imporre sui muri e le disuguaglianze.
L’elezione di Trump alla presidenza USA, con la prevedibile fuoriuscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi, e gli sconfortanti esiti della COP 29 di Baku fanno presagire uno scenario di progressivo peggioramento della crisi climatica negli anni a venire. A farne le spese è l’intero pianeta, soprattutto la parte più povera e meno responsabile del dissesto climatico. I 300 miliardi di dollari annui decisi a Baku sono meno di un quarto della cifra richiesta dalle nazioni più indigenti e vulnerabili. Del resto tutto si tiene: nel Nord del mondo, con l’aumento delle disuguaglianze, quote crescenti di cittadini sono più preoccupate della fine del mese che della fine del mondo, come recitavano i cartelli durante le rivolte dei gilè gialli in Francia di qualche anno fa. La politica segue, e gestisce il faticoso presente con logiche emergenziali, abdicando alla visione di medio-lungo periodo. In tutto ciò la catastrofe di Valencia e i recenti disastri in Emilia Romagna e in altre regioni italiane sottolineano – se ancora ve ne fosse bisogno – una crisi climatica già in corso, che anche da noi morde, e morderà sempre più.
Secondo l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, nel 2023 in Italia si sono verificati 378 eventi meteo estremi, con un aumento del 22% rispetto all’anno precedente. Trombe d’aria, frane, mareggiate, grandinate, temperature eccezionali, piogge intense, alluvioni ed esondazioni non sono più un’eccezione, bensì la normalità di una crisi climatica già in corso, una nuova normalità che nell’area del Mediterraneo colpisce più duramente, con un mare di 3 – 5 °C più caldo rispetto al passato, formidabile innesco di eventi meteo estremi. Nel decennio prima del 2022 in Italia ci sono stati circa 18.000 sfollati per maltempo, negli ultimi due anni il numero è pari al doppio, come afferma Virginia Della Sala, giornalista e autrice del libro Migrare in casa. I migranti climatici non sono più solo in Africa, in Asia o in Oceania, ma si palesano anche a casa nostra: molti cittadini cercano alloggi in luoghi più sicuri dopo aver subito più allagamenti nel giro di pochi mesi, e parecchie aziende hanno spostato o contano di spostare le linee di produzione.
Siamo nel pieno di una transizione climatica, ed eventi che fino a un recente passato avevano tempi di ritorno pluridecennali o secolari, ormai si ripetono nel giro di pochi anni se non di mesi. La rapidità dei cambiamenti cui stiamo assistendo non ha precedenti nella storia del nostro pianeta, ed è parallela alla velocità con cui stiamo rilasciando CO2 in atmosfera, carbonio che ha impiegato milioni e miliardi di anni ad accumularsi nel sottosuolo, piante interrate trasformate in carbone, petrolio e gas naturale.
L’Italia emette grosso modo lo 0,8% delle emissioni globali di CO2, e almeno su queste dovrebbe agire per rallentarle. Queste a livello planetario continuano a crescere anno dopo anno (nel 2023 le emissioni globali di CO2 sono aumentate dell’1,1% rispetto al 2022). Da noi il clima che cambia si inserisce in un territorio particolarmente fragile, prodotto di una cementificazione abnorme e del concomitante abbandono delle “aree marginali”, aree montane e collinari abbandonate nelle quali da tempo manca la manutenzione assidua e attenta che le popolazioni residenti garantivano in passato. In questa situazione c’è chi propone di far fare a tutti una assicurazione obbligatoria contro gli eventi estremi (come qualcuno nel governo prova a dire, e sperando che le assicurazioni finanziariamente reggano) o invocare più cemento, come l’ex presidente della Liguria Toti su X (ex Twitter).
In realtà è l’intero paese a dover mettere in campo azioni coerenti ai diversi livelli amministrativi e territoriali, nella consapevolezza – scientificamente asseverata – che:
- il pianeta è già nel pieno di una transizione climatica: se miracolosamente si annullassero istantaneamente le emissioni di CO2, sarebbero necessari 10-15 anni per raggiungere la nuova situazione di equilibrio per l’atmosfera, secoli, se non millenni, per mari e oceani;
- l’obiettivo degli accordi di Parigi del 2015 di non oltrepassare i 2 °C di riscaldamento globale, magari mantenendosi al di sotto (1,5 °C), appare fuori portata; queste soglie non sono fissate a caso: al di sopra gli eventi estremi aumentano in maniera tale da rendere molto problematica qualsiasi strategia di adattamento, ed inoltre si accrescono i rischi di cambiamenti irreversibili (tipping points), punti di non ritorno come la fusione dei ghiacci polari, che provocherà l’innalzamento del livello del mare dell’ordine dei metri; o la modifica delle correnti oceaniche, con un possibile arresto della Corrente del Golfo che potrà comportare la fine del clima temperato nel nord Europa, con forte abbassamento delle temperature;
- il territorio italiano risulta essere particolarmente fragile, laddove urbanizzazione e cementificazione eccessive, spesso realizzate in spregio alle pratiche di buon governo del territorio, insieme alla poca o nulla manutenzione di tante aree montane e collinari, non fanno che aumentare esponenzialmente i rischi di maggiori danni a causa di eventi estremi.
È più che mai necessario uscire dalla modalità “business as usual”, che viene continuamente riproposta, adottando azioni urgenti in cui siano coinvolti i diversi livelli amministrativi (nazionale, regionale e locale) così come i diversi soggetti, collettivi e individuali.
A livello nazionale è necessario che si crei una consapevolezza generalizzata nella classe politica della necessità di costruire ed implementare un efficace Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC). Questo ad un esame fatto circa un anno e mezzo fa presentava non poche carenze. La minimizzazione o peggio la negazione della realtà in cui siamo può risultare tragica. Nel Regno Unito è stato presentato alla Camera dei Comuni il documento The Parlamentarians’ Guide to Climate Change, con lo scopo di fornire a parlamentari e altri decisori una guida scientificamente autorevole contenente informazioni attendibili sui cambiamenti climatici e su quanto si può fare per limitare i danni. In Svezia la protezione civile ha spedito ai cittadini un opuscolo con indicazioni su come comportarsi in caso di crisi da eventi estremi (purtroppo associati anche alla guerra). Analoghe azioni sono state intraprese in Norvegia, Finlandia e Danimarca. Sarebbe necessario predisporre un documento-guida sui cambiamenti climatici per i politici anche in Italia, da finalizzarsi con il contributo delle principali istituzioni tecnico-scientifiche nazionali, in grado di fornire un quadro autorevole e definito sulle diverse materie correlate alla problematica della crisi climatica e della sua gestione. Un opuscolo informativo potrebbe poi aiutare i cittadini a capire, e predisporre i propri comportamenti.
A livello regionale e locale, oltre a presentare a politici e amministratori la guida di cui sopra, e a distribuire in maniera capillare e mirata ai cittadini un opuscolo su come comportarsi, è necessario intraprendere con urgenza tutte quelle azioni atte a ridurre i rischi da eventi estremi. Non bisogna ripristinare lo status quo ante, ma rimodellare profondamente il rapporto con il territorio, le infrastrutture, le abitazioni, gli insediamenti produttivi; consapevoli che i rischi ci sono, e tenderanno a crescere nel tempo. Costruire anche con il contributo dei singoli cittadini azioni di protezione civile in via preventiva: se la propria abitazione è a rischio di allagamento occorre premunirsi con pompe, barriere, paratie, scarichi di emergenza, con le opportune ridondanze in maniera che se, per esempio, la pompa non funziona, o non è sufficiente a smaltire tutta l’acqua che arriva, le altre salvaguardie riducono i danni.
Affrontare il tabù della delocalizzazione di abitazioni civili e impianti industriali laddove se ne ravvisi la necessità, nonché implementare ed utilizzare il più possibile strumenti di gestione degli eventi meteo nature based, come prescrive l’Unione Europea, dando ai corsi d’acqua la possibilità di defluire naturalmente anche in condizioni di criticità senza causare danni. Nel Giappone presso i Dipartimenti dei Vigili del Fuoco vi sono sessioni di formazione mirate agli specifici eventi che possono avvenire: dopo aver visto un video, si fanno delle esercitazioni su come comportarsi in caso di tifone, allagamento, terremoto, incendio, considerando varie intensità di questi eventi e varie situazioni (al chiuso, all’aperto, in macchina); sarebbe quanto mai utile dare questa possibilità anche in Italia.
Siamo in presenza di eventi che saranno sempre più frequenti e intensi. La narrazione di queste problematiche, che tuttora esibisce pericolose minimizzazioni tese a dire che è sempre stato così, deve trovare un delicato punto di equilibrio tra il dire le cose come stanno e il non gettare nel panico l’opinione pubblica: accettare una realtà molto sgradevole – e quella della crisi climatica lo è – risulta non semplice. Come la tragedia di Valencia insegna, rendersi conto di quello che sta accadendo, e di cosa potrebbe accadere, è il primo passo per affrontare seriamente il problema. Superare lo stato attuale, con il sistema politico non pienamente consapevole, istituzioni non attrezzate e una cittadinanza per lo più ignara, è la prima condizione che in molti casi può fare la differenza, non solo in termini di danni, ma anche tra la vita e la morte.
Una nostra maggiore consapevolezza potrebbe aiutare a rendere palese che l’umanità tutta è coinvolta nella crisi climatica, e che soccorrere dalle tragedie climatiche le persone che chiedono aiuto dal Sud del mondo ha delle ricadute positive anche per noi, ad esempio in termini di immigrazione irregolare, che oggi viene arginata con metodi inumani: ultima di una innumerevole serie, la vicenda della nave Geo Barents davanti alle coste libiche[3].
[1] Volontario ed esperto di ambiente, precedentemente Direttore del Dipartimento per la valutazione, i controlli e la sostenibilità ambientale di ISPRA e autore di numerose pubblicazioni scientifiche.
[2] Chimico, esperto in scienza dei materiali, processi e tecnologie per la sostenibilità energetica ed ambientale, con un centinaio tra pubblicazioni e brevetti. Impegnato a supporto dei movimenti territoriali per la costruzione di percorsi di fuoriuscita dalla servitù fossile, attualmente si occupa di divulgazione tecnico-scientifica, con particolare riguardo alla transizione energetica e digitale.
[3] Il 28 novembre scorso uomini armati identificatisi come guardia costiera libica hanno assaltato un gommone con un centinaio di persone a bordo al largo delle coste della Libia; 83 tra uomini e minori non accompagnati, una settantina dei quali erano finiti in mare, sono stati soccorsi dalla nave Geo Barents di Medici Senza Frontiere; 25 donne e 4 bambini, il più piccolo di tre mesi, sono stati sequestrati dai libici tra l’agghiacciante disperazione di mariti, fratelli, padri: un giovane ha tentato di ributtarsi in mare per raggiungere i suoi due bambini, di 11 anni e 3 mesi, deportati con la madre sotto i suoi occhi. Gli uomini soccorsi hanno raccontato di essere stati stuprati per settimane nei centri di detenzione libici davanti alle loro famiglie; la responsabile dei soccorsi della Geo Barents, Fulvia Conte, ha riferito che «sono disperati, perché sanno che adesso toccherà alle loro mogli e ai loro figli», e ha precisato che episodi di questo tipo avvengono con grande frequenza, ma che un caso del genere, con donne e bambini presi e portati via, non l’aveva mai visto. Tutto questo accade con l’avallo e le sovvenzioni di Italia ed Europa, e con ampie fasce dell’opinione pubblica che, molto semplicemente, si girano dall’altra parte