La peggiore fuoriuscita di petrolio al largo delle coste del Perù
Cover Photo: Diego Pérez/SPDA
Nota: Proponiamo questo studio curato da CIDSE, di cui FOCSIV è socia, sul caso Repsol, uno dei tanti esempi di abusi da parte delle imprese nei confronti di comunità vulnerabili o locali. Una direttiva sulla due diligence di sostenibilità delle imprese potrebbe cambiare la situazione e dare alle comunità la possibilità di chiedere giustizia e risarcimenti. Per saperne di più su questa norma e su come influenzare i decisori politici, visitate il sito justice-business.org
Lo scorso gennaio, circa 12.000 barili di petrolio sono fuoriusciti al largo della costa di Ventanilla, in Perù, causando uno dei peggiori disastri ecologici nella storia del mare di Lima. La perdita si è verificata quando la nave italiana Mare Doricum stava scaricando greggio nelle condutture sottomarine della raffineria La Pampilla, gestita dalla compagnia spagnola Repsol.
Le conseguenze socio-ambientali della fuoriuscita sono irreparabili: sono stati colpiti più di 11.000 ettari di area marina costiera. La presenza di idrocarburi petroliferi è stata riscontrata in 66 aree, di cui 46 sono spiagge e 20 scogliere. Inoltre, la fuoriuscita ha colpito due aree protette di grande importanza. La vita di circa 10.000 persone, che dipendevano direttamente dal mare per il loro sostentamento, è cambiata radicalmente.
“Molto petrolio è finito sepolto sotto le spiagge o sul fondale marino. Quindi, c’è stata tutta una serie di impatti sociali ed economici. Ma c’è anche la questione di quanto a lungo l’impatto inciderà sui mezzi di sussistenza delle comunità locali, per quanto tempo dovranno sospendere le loro attività”, afferma Miguel Lévano Muñoz, di Oxfam Perù e coordinatore del Gruppo di lavoro sul petrolio del Coordinamento nazionale dei diritti umani, che monitora anche i casi di fuoriuscita di petrolio nelle aree costiere e nell’Amazzonia peruviana. Negli ultimi 25 anni sono state identificate più di mille fuoriuscite.
Alejandro Chirinos, direttore esecutivo di CooperAcción, mette in evidenza un gruppo ancora più vulnerabile: “Un caso particolare è l’impatto sulla vita delle donne che dipendevano dal lavoro nella zona costiera. Alcune di loro – molte, in realtà – hanno perso i loro mariti a causa del COVID, perché in Perù, come in altri luoghi, il virus ha avuto una mortalità maggiore tra gli uomini”.
Qui è disponibile la versione italiana del video di questo disastro petrolifero.
La lentezza della reazione di Repsol nel contenere la fuoriuscita e la mancanza di risolutezza del governo peruviano nell’applicare sanzioni e nell’adottare misure sono state duramente criticate da cittadini e attivisti di tutto il mondo, scatenando un’ondata di proteste in Perù e, su scala minore, in Spagna. La fuoriuscita ha portato alla luce una serie di irregolarità nel piano di emergenza di Repsol, un requisito basilare e fondamentale per un’azienda che opera nel settore petrolifero, e ha portato alla luce del sole le molteplici multe accumulate negli anni dall’azienda.
“Casi come questo dimostrano una violazione degli obblighi da parte delle aziende responsabili delle operazioni e degli enti pubblici in termini di verifica, supervisione e conformità”, ha dichiarato Lévano.
Come si può permettere a un’azienda con una tale reputazione di operare in un Paese? Inoltre, perché, nonostante l’indignazione internazionale, il governo peruviano ha tardato a condannare questo disastro ambientale?
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