L’assistenza allo sviluppo e la gestione della migrazione
Ufficio Policy FOCSIV – Dal recente bel rapporto del Mixed Migration Review 2022 | Mixed Migration Centre, abbiamo estrapolato il contributo di Ariel G. Ruiz Soto (1) e Camille Le Coz (2) su come “Rimodellare l’approccio alle cause profonde: distinguere l’assistenza ufficiale allo sviluppo e la gestione della migrazione”. Infatti, come già segnalato (La continua deriva della cooperazione allo sviluppo per contenere le migrazioni – FOCSIV), soprattutto a partire dalla crisi migratoria europea del 2015, si registra una progressiva deviazione della cooperazione allo sviluppo verso la gestione dei flussi migratori, col fine di contenerli e quindi rispondere a una priorità politica nostrana e non dei paesi con cui si coopera. L’articolo di Ruiz Soto e Le Coz affronta l’argomento indicando come sia gli Stati Uniti che l’Unione Europea abbiamo adottato questo approccio senza avere risultati nel breve termine e soprattutto non rispondendo agli obiettivi propri della politica di cooperazione allo sviluppo. Occorre quindi ripensare il nesso tra aiuto allo sviluppo e governo dei flussi migratori.
“La fissazione degli Stati di destinazione di scoraggiare le persone a emigrare irregolarmente ha avuto un’influenza spropositata sull’assistenza ufficiale allo sviluppo, eppure, nonostante il costo di miliardi, finora non è riuscita a convincere gli aspiranti migranti a rimanere nei loro Paesi d’origine. Inoltre, questa fissazione, incentrata sull’affrontare le “cause profonde” della migrazione, ha lasciato irrisolte una serie di pressanti questioni di sviluppo. È tempo di un nuovo tipo di dialogo tra i governi alle due estremità del percorso migratorio.
Introduzione
Nell’ultimo decennio, la gestione della migrazione è salita in cima alle agende dei politici negli Stati Uniti e in Europa, l’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) è stato sempre più orientato a contenere gli arrivi di migranti alle frontiere. L’APS è diventato uno strumento pienamente integrato nella strategia dei politici occidentali per sollecitare la cooperazione con i Paesi d’origine per arginare la migrazione.
La logica di molti paesi di destinazione (e donatori) è che affrontando le cause della migrazione mista, che vanno dalla povertà e dai conflitti alla violenza di genere, al malgoverno, ai disastri naturali e agli effetti negativi del cambiamento climatico, l’APS può trattenere le persone a casa. Ma nonostante i miliardi di euro e di dollari spesi per affrontare le cosiddette cause profonde della migrazione irregolare, attraverso programmi che raramente sono progettati per allinearsi con le strategie di sviluppo nazionale dei paesi di origine, questo approccio non ha ancora mantenuto le sue promesse.
Migranti e rifugiati continuano a lasciare i loro Paesi al di fuori dei canali regolari e senza un’adeguata documentazione, alcuni di loro sono costretti a spostarsi in seguito a un disastro o per sfuggire a violenze e persecuzioni. Il dialogo tra i Paesi di destinazione e di origine si è talmente concentrato sul contenimento delle partenze che questioni urgenti legate allo sviluppo, alla sicurezza, all’uguaglianza di genere e al cambiamento climatico, sono state trascurate.
Per andare avanti, ripensare agli effetti dell’aiuto pubblico allo sviluppo sui fattori e sui movimenti migratori è necessario ridisegnare il modo in cui i governi occidentali affrontano i legami tra l’aiuto allo sviluppo e la migrazione. In effetti, un approccio più realistico ed efficace su questo nesso è quello di utilizzare l’APS per sfruttare meglio la migrazione a favore dello sviluppo, costruendo allo stesso tempo la resilienza delle comunità per prevenire e rispondere agli spostamenti forzati.
L’uso dell’aiuto pubblico allo sviluppo per scoraggiare la migrazione
L’aiuto pubblico allo sviluppo e la migrazione sono stati a lungo collegati. Dagli anni ’70, i donatori occidentali e le agenzie di sviluppo occidentali hanno cercato di massimizzare i benefici della migrazione per un migliore sviluppo, grazie al ruolo delle rimesse e degli investimenti delle diaspore nei Paesi d’origine; e hanno spesso cercato di far leva sull’aiuto pubblico allo sviluppo per spingere i Paesi di origine a cooperare nella gestione delle frontiere, per il ritorno e riammissione. Nell’ultimo decennio si è affermato un terzo approccio, con i governi europei e statunitensi che sperano che l’assistenza allo sviluppo possa rimediare ai fattori che spingono le persone a lasciare la loro casa e, in ultima analisi, prevenire la migrazione irregolare e lo sfollamento forzato.
Nel 2015, il forte aumento degli arrivi spontanei che provenivano principalmente dal Medio Oriente, ha portato l’Unione Europea a istituire un Fondo fiduciario di emergenza per l’Africa (EUTF). La Commissione Europea e gli Stati membri dell’Unione Europea sostenevano che questo fondo (per un totale di 5 miliardi di euro) avrebbe creato stabilità e opportunità economiche per i giovani africani, scoraggiando le partenze.
Nonostante la mancanza di prove conclusive che dimostrino che l’EUTF abbia effettivamente raggiunto i migranti e richiedenti asilo, i politici europei hanno visto raddoppiare il numero di migranti fino al 2022, e opra hanno lanciato una nuova iniziativa, la Team Europe per la rotta migratoria del Mediterraneo centrale, che si affiderà anche all’APS per affrontare le cause profonde della migrazione irregolare e dello sfollamento forzato. Nel 2021, la strategia degli Stati Uniti per affrontare le cause profonde della migrazione in America centrale segue una logica simile.
Questi approcci sulle cause profonde si basano sull’ipotesi che la migrazione possa essere prevenuta, anziché gestita. Essi postulano che la migrazione irregolare sia il risultato di problemi nei Paesi d’origine e trascurano gli altri fattori che determinano le decisioni a migrare. Per esempio, sia i politici europei che quelli statunitensi hanno sostenuto che, creando posti di lavoro nei Paesi d’origine, i giovani (e i gruppi vulnerabili) smetteranno di migrare in modo irregolare. In Africa, l’EUTF ha stanziato quasi 1 miliardo di euro per progetti di sviluppo dei mezzi di sussistenza e del settore privato nei principali Paesi d’origine.
L’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) in El Salvador, Honduras e Guatemala ha finanziato progetti imprenditoriali, l’occupazione giovanile e la formazione tecnica, con l’obiettivo di ridurre le pressioni economiche ad emigrare irregolarmente negli Stati Uniti.
Se da un lato queste strategie mirano a rispondere alle preoccupazioni politiche delle capitali occidentali, sono impraticabili – e raramente si allineano con gli interessi dei governi e delle società civile nei Paesi d’origine.
Le insidie dell’approccio delle cause profonde
I responsabili politici in Europa e negli Stati Uniti possono considerare l’aiuto pubblico allo sviluppo come uno strumento di primo piano per frenare la migrazione, ma questo approccio non ha ridotto in modo significativo i flussi irregolari in nessuna delle due regioni. Gli arrivi di migranti e richiedenti asilo al confine tra gli Stati Uniti e il Messico hanno recentemente raggiunto un picco, mentre le partenze dall’Africa sub-sahariana verso l’Europa continuano senza sosta.
Le carenze di questo approccio politico sono dovute a tre ragioni principali: la sola spesa per lo sviluppo non può fermare la migrazione nel breve termine; le decisioni e le destinazioni migratorie sono influenzate da altri fattori che vanno oltre lo sviluppo locale nei Paesi d’origine; e, infine, l’attenzione nel frenare le partenze con la cooperazione tra i Paesi di destinazione e di origine ha ulteriormente ritardato i progressi in aree quali il buon governo, l’adattamento al clima, la pace e la sicurezza, tutti elementi critici per prevenire lo sfollamento forzato.
In primo luogo, la spesa per lo sviluppo può influenzare le decisioni in materia di migrazione, ma i dati indicano in modo schiacciante che non può da sola fermare la migrazione irregolare nel breve termine. Al contrario, può portare ad un aumento delle partenze dalle regioni di origine. La ricerca mostra, ad esempio, che il tasso di emigrazione di un Paese aumenta contemporaneamente con l’aumento del PIL pro capite, mentre inizia a diminuire dopo che il Paese ha raggiunto i 10.000 dollari di PIL pro capite.
Per paesi come il Guatemala, El Salvador e Honduras, il cui PIL pro capite è pari o inferiore a 5.000 dollari, ci vogliono diversi anni di sviluppo economico costante perché il tasso di emigrazione si possa ridurre in modo significativo. In pratica, quando le persone hanno accesso a maggiori risorse e diventano più istruite, è più probabile che cerchino migliori opportunità economiche e di sostentamento con l’emigrazione. Con l’aumento delle aspirazioni e delle capacità, le comunità con un reddito più elevato tendono a vedere la migrazione meno come una necessità e più come un investimento futuro per sostenere i loro parenti e diventare più resistenti a periodi di instabilità economica.
In secondo luogo, per influenzare le decisioni migratorie occorre riconoscere che queste dipendono da un insieme intersecante di fattori diversi e che la situazione economica e sociale del Paese d’origine è solo uno di questi. L’accesso alle informazioni sulle rotte migratorie e sui contrabbandieri è infatti più decisivo nel determinare queste scelte. Queste conoscenze sono spesso legate a una tradizione di migrazione e alle relazioni con le reti della diaspora. Le comunità possono aiutare i migranti a finanziare il loro viaggio o almeno a condividere informazioni sulle rotte migratorie. Le persone possono anche essere più inclini a trasferirsi in un Paese in cui le diaspore possono aiutarli a trovare un lavoro e ad accedere a servizi e alloggi.
La relativa facilità di trovare un contrabbandiere influenza il processo decisionale. In America centrale e in Messico, per esempio, le attività di contrabbando sono importantissime nelle economie locali e le comunità delle regioni di confine si affidano a questa attività per mancanza di opportunità migliori. I migranti possono facilmente entrare in contatto con un contrabbandiere, rendendo il viaggio relativamente più accessibile rispetto ai canali regolari, nonostante i suoi rischi.
Inoltre, la demografia contribuisce a tracciare la rotta della migrazione, in quanto i Paesi con tassi di natalità più elevati tendono ad avere popolazioni più giovani, e un numero maggiore di loro sono spinti a migrare una volta in età lavorativa. Questo contribuisce a spiegare le variazioni nelle tendenze migratorie tra Paesi con tassi di natalità più bassi che portano a popolazioni relativamente più anziane, come El Salvador, e popolazione relativamente giovane e in crescita, come il Guatemala e l’Honduras.
In terzo luogo, i programmi di sviluppo orientati ad affrontare le cause profonde della migrazione sono spesso definiti in modo affrettato e rischiano di essere controproducenti per tre motivi principali: i) si traducono in una programmazione che non sempre affronta le problematiche locali; ii) rischiano di aumentare le tensioni tra le comunità; e iii) rischiano di sostenere regimi controversi che minacciano i progressi a lungo termine.
Molti dei primi progetti EUTF sono stati concepiti nelle capitali europee, senza un impegno significativo con i governi e le società civili destinatarie. Ciò significa che la titolarità locale di queste iniziative è stata limitata, minacciando il loro impatto fin dall’inizio. Allo stesso modo, gli Stati Uniti in America Centrale sono stati ripetutamente criticati per il fatto di avere sostenuto progetti dall’alto verso il basso che non rispecchiavano gli interessi delle comunità e della società civile.
Inoltre, questi programmi hanno raramente seguito un approccio coerente di “non nuocere”, producendo risultati negativi. I progetti che mirano a migliorare la gestione delle frontiere, ad esempio, hanno ostacolato il commercio transfrontaliero, che rappresenta una fonte principale di reddito per le comunità che vivono lungo le regioni di confine. In Niger, l’Unione europea ha collaborato con il governo per rafforzare i controlli e frenare le reti di contrabbando. Questi sforzi hanno contribuito a limitare le partenze dalla città settentrionale di Agadez verso la Libia, ma hanno anche aggravato la situazione economica della regione, riducendo le opportunità per le comunità locali e aumentando le lamentele per il comportamento scorretto delle forze di sicurezza.
Infine, l’attenzione per il contenimento della migrazione irregolare ha portato i Paesi donatori a sviluppare relazioni e compromessi con alcuni governi in un modo che non è utile al buon governo (e allo sviluppo) nel lungo periodo. In America centrale, ad esempio, l’amministrazione Biden ha inizialmente cercato di stabilire una stretta collaborazione con il governo guatemalteco, nonostante le serie preoccupazioni per il nepotismo e il racket politico. Poco dopo, però, le battute d’arresto negli sforzi di lotta alla corruzione hanno debilitato la governance in Guatemala, deteriorando di conseguenza la partnership tra Stati Uniti e il Guatemala, con la conseguente decisione dell’USAID di sospendere alcuni dei suoi programmi di assistenza nel Paese. L’invito dei funzionari statunitensi a continuare a lavorare con la dirigenza guatemalteca per contenere le partenze ha complicato la collaborazione futura e, in ultima analisi, ha minato la credibilità del governo statunitense nel sostenere il buon governo e le altre riforme strutturali.
Ripensare gli obiettivi di sviluppo e la gestione della migrazione
Visto l’insuccesso delle strategie che si basano solo sull’aiuto pubblico allo sviluppo per affrontare le cause della migrazione, le società civili e i ricercatori hanno esortato i politici a riconsiderare il modo in cui massimizzare i benefici per lo sviluppo derivanti dalla migrazione, prevenire gli sfollamenti forzati e rafforzare la resilienza delle comunità di origine, transito e destinazione.
Di conseguenza, alcuni governi europei e statunitensi hanno iniziato a modificare il loro approccio. L’iniziativa Team Europe sulla rotta del Mediterraneo occidentale, ad esempio, non fa riferimento ad “affrontare le cause alla radice ” nei suoi obiettivi primari, menzionando invece la necessità di “rendere la migrazione una scelta e di costruire la resilienza“. E a differenza dei tentativi precedenti, la Strategia degli Stati Uniti per affrontare le cause profonde delle migrazioni riconosce lo sviluppo a lungo termine per dare ai centroamericani la speranza che possano avere successo in patria senza dover emigrare.
Tuttavia, questi sottili cambiamenti non sono stati sufficienti, né sono stati resi operativi. La Strategia nazionale di cooperazione allo sviluppo 2020-2025 di USAID Guatemala, ad esempio, continua a concentrarsi sulla migrazione irregolare nel breve termine.
Al contrario, ripensare ed espandere oltre gli approcci tradizionali per affrontare le cause profonde richiede ai governi di impegnarsi e investire in tre obiettivi.
In primo luogo, i donatori e i responsabili politici occidentali devono stabilire partenariati più rappresentativi e paritari con i Paesi d’origine. Il cuore di questi partenariati è l’identificazione e l’integrazione delle priorità dei governi e delle società civili dei Paesi d’origine nelle strategie di sviluppo, anche quando queste possono essere in contrasto con le priorità dei donatori. Alcuni progetti di sviluppo in Africa si sono già adoperati per consultare le parti interessate in merito alla politica migratoria. Ad esempio, l’Agenzia francese per lo sviluppo e il suo partner Expertise France dal 2020 ha sostenuto i dialoghi regionali e il rafforzamento delle capacità per migliorare il dialogo tra i governi e gli attori della società civile in sette Paesi dell’Africa settentrionale e occidentale.
Nel frattempo, in America Centrale, vi è un interesse crescente dei donatori per gli approcci basati sulle comunità di sviluppo, soprattutto con le donne, i giovani e gli emarginati. L’assistenza che si fonda su analisi del conflitto e delle fragilità nelle comunità, può sostenere i gruppi a rischio di sfollamento forzato.
Un secondo obiettivo dovrebbe essere quello di utilizzare l’APS per rafforzare la cooperazione regionale e fornire assistenza tecnica e capacità di gestione della migrazione in Africa e dell’America centrale. Ciò comporta il miglioramento dei meccanismi di mobilità esistenti, ampliandone la portata e l’accessibilità, e investire in nuovi percorsi che, insieme, possono fornire alternative valide e lecite alla migrazione irregolare.
In Africa occidentale, la maggior parte della migrazione tra Paesi confinanti e le iniziative come il sostegno alla libera circolazione delle persone e della migrazione per lo sviluppo, sono necessarie per la piena attuazione della Comunità economica. Nel caso dell’America Centrale, la cooperazione regionale è necessaria per sostenere la piena attuazione del protocollo per ampliare e stabilire nuovi percorsi di mobilità del lavoro con il Messico, soprattutto per i lavoratori honduregni e guatemaltechi in cerca di un’occupazione temporanea o permanente.
I finanziamenti per identificare e armonizzare gli interessi e le priorità politiche tra i Paesi d’origine in entrambe le regioni è un’altra componente chiave per rafforzare il coordinamento e la gestione della migrazione. Sfruttare l’influenza combinata dei loro interessi per la tutela del lavoro e l’assistenza alla reintegrazione di ritorno, ad esempio, può essere un importante strumento di negoziazione per facilitare gli accordi di lavoro regionali con l’Unione Europea o gli Stati Uniti.
Il terzo obiettivo del ripensamento dei modelli di assistenza basati sulle cause profonde è sfruttare la migrazione come catalizzatore dello sviluppo, mobilitando i gruppi della diaspora, diminuendo i costi delle rimesse e investendo in percorsi innovativi di migrazione per motivi di lavoro.
Riconoscere la migrazione come componente fondamentale del processo di sviluppo dei Paesi a basso reddito permette ai migranti di partecipare alla soluzione dei fattori che li portano a lasciare la propria casa. In termini di progetti di sviluppo, ciò può comportare iniziative che incoraggiano l’imprenditorialità e il trasferimento di conoscenze tra diaspore. Nel corso degli anni sono stati compiuti ripetuti sforzi per ridurre i costi dei trasferimenti di rimesse e per migliorare l’inclusione finanziaria delle comunità nei Paesi d’origine. Ad esempio, Missione Guatemala USA, un’organizzazione guidata da migranti guatemaltechi negli Stati Uniti, ha ideato un’iniziativa di sviluppo sostenibile che cerca di stabilire un partenariato transnazionale tra i migranti all’estero e le loro comunità d’origine per creare una banca di sviluppo che possa amplificare l’investimento delle rimesse in progetti di sviluppo, non solo per il consumo e i servizi.
Inoltre, il sostegno a meccanismi come i partenariati globali per le competenze in Africa e America Centrale attraverso l’APS potrebbe contribuire a massimizzare i benefici della migrazione per lo sviluppo. Questi partenariati globali per le competenze beneficiano paesi di origine e di destinazione, formando i lavoratori nei Paesi d’origine, soddisfacendo le esigenze del mercato del lavoro da entrambe le parti e facilitando la mobilità dei lavoratori in modo sicuro, equo ed etico. Ad oggi sono stati effettuati solo alcuni di tali partenariati, per esempio, Australia, Germania e Belgio hanno sperimentato modelli di mobilità di competenze con partner nelle isole del Pacifico, in Kosovo, in Tunisia, in Serbia e in Marocco,
Conclusioni
Nonostante il continuo interesse politico ad affidarsi all’aiuto pubblico allo sviluppo per affrontare le cause profonde della migrazione mista nei paesi d’origine, i dati provenienti dall’Europa e dagli Stati Uniti hanno dimostrato che l’APS da solo non è in grado di ridurre i migranti nel breve periodo. Ciò non significa che l’assistenza allo sviluppo non abbia alcuna influenza sul processo decisionale dei migranti, ma piuttosto che occorre riconsiderare come la migrazione e lo sviluppo servano interessi comuni, quando collegare l’assistenza allo sviluppo ad altre aree politiche, e come promuovere lo sviluppo e gli attori locali.
Come risultato di sottili spostamenti semantici dei modelli tradizionali sulle cause profonde, sembra che si stia aprendo una finestra politica in Europa e negli Stati Uniti per mettere in discussione il modo in cui i politici hanno usato l’APS come strumento spuntato per frenare la migrazione.
È tempo di promuovere strategie di investimento che riflettano le priorità dei governi locali e delle società civili, in modo da poter coltivare partenariati più efficaci ed equilibrati tra i governi di origine e di destinazione, e moltiplicare gli effetti positivi degli interventi di sviluppo.
Sostenere la cooperazione regionale in Africa e America Centrale può far progredire ulteriormente i programmi di sviluppo locale, parallelamente all’espansione dei percorsi di migrazione legale verso l’Europa e gli Stati Uniti.
Altrettanto importante è sfruttare la migrazione come catalizzatore dello sviluppo e dare ai migranti e ai gruppi della diaspora la possibilità di essere attori significativi del cambiamento nelle questioni locali nelle loro società di accoglienza e di origine.
Nei prossimi anni, la ridefinizione del modo in cui i responsabili politici stabiliranno le strategie migratorie sarà indubbiamente un compito difficile che implica la necessità di calibrare le aspettative su cosa si può ottenere sostenendo lo sviluppo internazionale nei Paesi con alti tassi di emigrazione.
Tuttavia, i forum globali sulla migrazione come il Vertice delle Americhe del 2022, in cui 21 paesi dell’Emisfero occidentale hanno firmato la Dichiarazione di Los Angeles sulla migrazione e protezione, possono tracciare un nuovo percorso verso un impegno internazionale che prevede di affrontare le cause come uno degli elementi di una risposta sistematica più ampia alla cooperazione e alla gestione della migrazione, tra cui l’espansione dei meccanismi di protezione e dei percorsi di migrazione di lavoro.
Nel frattempo, i responsabili politici europei e statunitensi trarrebbero beneficio da un attento riesame del modo in cui i loro obiettivi migratori sono definiti e resi operativi all’interno delle loro strategie di sviluppo, per assicurarsi che siano realistici e che possano avere successo.
(1) Ariel G. Ruiz Soto è analista politico presso il Migration Policy Institute (MPI), dove lavora con il Programma di politica dell’immigrazione degli Stati Uniti e l’Iniziativa per l’America Latina e i Caraibi. La sua ricerca esamina l’interazione delle politiche migratorie in una regione che si estende da Panama al Canada, nonché le loro conseguenze, volute e non volute, per le popolazioni di origine straniera e autoctona.
(2) Camille Le Coz è analista senior di politiche presso il MPI Europe e si occupa principalmente di questioni migratorie nell’UE. Le sue aree di ricerca comprendono le politiche dell’UE in materia di sviluppo, percorsi legali, protezione e cambiamenti climatici.