Migrazioni e cooperazione: un’estate vissuta pericolosamente e tragicamente

Non è tempo di valutazioni. La materia è ancora calda e lo sarà per chissà quanto tempo. Ma è utile fare un piccolo punto della situazione rispetto alla questione dell’uso della cooperazione per gestire i flussi migratori.
Da luglio si è assistito all’attacco al mondo delle ONG relativamente alle operazioni di soccorso in mare nel Mediterraneo centrale. Mediaticamente e politicamente si sono accusate le ONG di connivenza e peggio coinvolgimento nel traffico delle persone, chiedendo la firma di un codice di condotta. Accuse che sono sfociate solo in una denuncia per favoreggiamento dell’immigrazione irregolare ad una ONG che aveva salvato centinaia di persone. L’intento era quello di mettere ordine nello spazio marino eliminando il fattore attrazione costituito dalle navi delle ONG, consentendo alla guardia costiera libica di respingere le barche. Guardia libica peraltro connivente con i traffici.
Dopo l’attacco, parziale marcia indietro o di riequilibrio, con la richiesta di coinvolgere le ONG in operazioni umanitarie in Libia per migliorare le condizioni dei migranti chiusi nei centri di detenzione, in vista di un loro superamento. L’intenzione è quella di coniugare sicurezza con solidarietà. E’ previsto un bando dell’Agenzia della Cooperazione italiana di circa 6 milioni di euro, due dei quali proprio per operare nei centri di detenzione.
Da parte del mondo delle ONG si è accusata la politica italiana di aver agito in due tempi e in modo irresponsabile: prima chiudendo il transito irregolare e respingendo quindi i migranti in centri di detenzione inumani, e poi chiedendo al governo Al Serraj di aprire i centri ad operazioni umanitarie. Cosa questa che avviene solo per pochi centri e in modo parziale. Risultato: i migranti rimangono nell’inferno dei centri senza alcuna prospettiva, visto che di corridoi umanitari non se ne vede l’ombra, e che solo i ritorni sono in parte attivi.
Le agenzie ONU sono molto critiche su questi centri e chiedono di poter agire in modo più libero ed essendo veramente responsabili di spazi sicuri. Le ONG chiedono un percorso di chiusura di questi centri aprendone di nuovi controllati e umani, da cui procedere con operazioni di reinsediamento.
Quello che sta accadendo in Libia intanto è la sostituzione dell’industria del traffico con quella della detenzione. Se prima le milizie si contendevano i migranti per sfruttarli e farsi pagare i viaggi della morte, ora se li contendono per chiuderli nei centri di concentramento, per poi chiedere al governo Al Serraj e ai governi europei, in primis quello italiano, una loro legittimazione e ovvie compensazioni. Altrimenti, in modo ricattatorio, si riapriranno i canali delle migrazioni irregolari.
Negli ultimi giorni, nelle battaglie di Sabratha, la milizia del criminale Dabashi è in combattimento con la Operation Room anti Isis, la brigata 48 e la milizia Al Wadi per il controllo del territorio e quindi del servizio di sicurezza al compound dell’ENI e della gestione dei centri di concentramento. Il governo italiano sta giocando pericolosamente e tragicamente con questi attori, negoziando attraverso l’intelligence, mentre uomini, donne e bambini continuano ad essere torturati.
L’Unione europea, dopo i diversi vertici del Consiglio europeo e di alcuni Paesi leader – vedi quello tenutosi a Parigi dove l’approccio italiano è stato benedetto – ha deciso di seguire la politica italiana e, a fine luglio, ha finanziato con 46 milioni di euro del Fondo Fiduciario per l’Africa (EUTF), le operazioni del Ministero dell’Interno italiano per il controllo della frontiera a Sud della Libia.
D’altra parte i progetti previsti dall’EUTF cercano di compensare le comunità libiche, le municipalità, con aiuti sia di carattere umanitario che di riattivazione di economie locali alternative ai traffici. Su queste iniziative sono coinvolte ONG e Associazioni della società civile locale, ma sono iniziative che stentano a partire viste le condizioni di insicurezza esistenti.
Si vede una luce in fondo al tunnel per chi voleva chiudere i canali delle migrazioni irregolari, ma non è così semplice esponendosi a più ricatti. Ma soprattutto non lo è per i migranti costretti a vivere nel buio dei centri di detenzione. Mentre il conflitto procede, i migranti rimangono una delle monete di scambio (con il petrolio e le armi) dei giochi di potere tra fazioni militari e governi. Rimane il dilemma per chi vuole fare cooperazione in queste condizioni: fino a che punto sporcarsi le mani?
Andrea Stocchiero, Responsabile Policy di FOCSIV