REPSOL: ¡HAZTE CARGO!
Francesca Palmi, Linda Marisol Perina e Sara Dall’Amico, sono Caschi Bianchi Focsiv in Perù. In questo mese hanno seguito da vicino le vicende legate al disastro ecologico provocato dalla Repsol e hanno raccontato, in questo articolo per la Campagna Impresa2030, cosa hanno visto, riportando anche le rivendicazioni della popolazione locale
“Repsol: hazte cargo!” – “Repsol: prenditi le tue responsabilità!” – é la frase che rimbomba dal 15 Gennaio, giorno dell’ “incidente” causato dalla compagnia petrolifera Repsol, impresa spagnola che opera in Perú dal 1995. L’impresa è infatti responsabile di aver sversato sui litorali a nord di Lima ben 11.900 barili di greggio. La notizia qua in Perù ha destato scalpore, i cittadini sono scesi in piazza e i politici si sono affrettati a rilasciare dichiarazioni.
Di fronte a un tale disastro ecologico, anche noi volontarie, coinvolte in progetti di sviluppo sostenibile e tutela dei diritti umani, non potevamo rimanere indifferenti, poiché i valori che abbiamo sposato con la chiamata al Servizio CIvile ci spingono a testimoniare per dare voce a chi voce non ha. Una settimana dopo l’incidente, ci siamo recate sulle spiagge in cui la presenza di petrolio era più massiccia, e con le dovute protezioni abbiamo contribuito a
individuare e mettere in salvo gli animali contaminati. Ora, dopo un mese da quello che tutti conoscono come il disastro ecologico La Pampilla, abbiamo deciso di scrivere questo articolo, in modo che anche nel panorama internazionale possa giungere la notizia di ciò che è realmente accaduto.
Cosa è successo a La Ventanilla
Il 15 gennaio 2022 ha avuto luogo uno dei più gravi disastri ecologici nella storia della capitale del Perù, Lima. Durante il trasferimento di greggio dalla petroliera italiana Mare Doricum – dei Fratelli D’Amico Armatori S.p.a – alla raffineria La Pampilla – di proprietà della compagnia spagnola Repsol – uno sversamento di petrolio si è riversato nelle acque nazionali peruviane lungo la costa di La Ventanilla (provincia di Callao), situata una trentina di chilometri a nord di Lima e famosa per la sua biodiversità marina ospitata da due riserve protette. La quantità di petrolio sversato nelle acque dell’oceano pacifico raggiunge 11.900 barili, ovvero 1,65 milioni di litri di greggio. Il bilancio del drammatico disastro ambientale riporta ingenti danni all’ecosistema, alla flora, alla fauna marina e all’attività di pesca artigianale; qui si riportano alcuni dati*: 512 ettari sono stati contaminati nelle zona de Islotes Grupo Pescadores y Punta Salinas de la Reserva Nacional Sistema de Islas, Islotes y Puntas Guaneras, oltre a 1.800 ettari nella Zona Reservada Ancón, circa 300 uccelli sono stati trovati morti, così come tanti altri pesci, pinguini e leoni marini, più di 1.500 pescatori appartenenti a comunità costiere hanno perso i mezzi di sostentamento necessari per provvedere al bisogno delle loro famiglie.
La notte del 25 gennaio da parte della DICAPI (Dirección General de Capitanías y Guardacostas de la Marina de Guerra del Perú) è stata segnalata una seconda fuoriuscita di petrolio nella raffineria della Repsol, durante un monitoraggio presso la zona già colpita dal primo versamento. Un’altra ferita per un Paese in emergenza ambientale.
La risposta del governo peruviano
Cinque giorni dopo il disastro, il governo peruviano ha dichiarato emergenza ambientale per 90 giorni** al fine di controllare la fuoriuscita del petrolio e poter aprire un’indagine per il presunto reato di inquinamento ambientale. La dichiarazione emergenziale copre tutte le zone colpite dalla macchia nera, un’area di tre chilometri quadrati, che comprende le spiagge di Ventanilla, Santa Rosa, Ancón e Chancay.
Il 28 gennaio il giudice Romualdo Aguedo ha ordinato il divieto di lasciare il paese per 18 mesi a quattro dirigenti della raffineria La Pampilla, tra cui il direttore esecutivo Jaime Fernández-Cuesta, come parte dell’inchiesta per la loro presunta responsabilità nel reato di inquinamento ambientale.
Il 31 gennaio il Ministero dell’Ambiente ha deciso di limitare le operazioni di carico e scarico di petrolio della raffineria fino a quando la Repsol non presentará all’OEFA (Organismo Fiscalizador de Evaluación Ambiental) un Piano di Gestione delle fuoriuscite di petrolio in mare, così come le certificazioni aggiornate dalle autorità competenti che approvino l’integrità delle strutture petrolifere***. Tuttavia, al fine di garantire l’approvvigionamento di
petrolio greggio nel paese, lo stesso ente ha autorizzato per la durata di dieci giorni la ripresa delle attività di carico e scarico di idrocarburi, precisando che tale autorizzazione non implicherebbe la revoca del provvedimento amministrativo di arresto delle attività e assicurando il monitoraggio del rispetto delle misure stabilite.
Repsol: negligenze e omissioni
Nonostante la catastrofe ecologica causata, l’impresa petrolifera ha reagito con un atteggiamento indolente e negazionista, cercando, sin da subito, di sottrarsi dalla sua responsabilità per i gravi danni causati all’ambiente peruviano.
Come prima reazione alle accuse di reato di inquinamento ambientale, la compagnia spagnola ha scaricato la responsabilità sull’onda anomala provocata dall’eruzione del vulcano sottomarino Tonga avvenuta nei giorni precedenti in Oceania, dall’altra parte del Pacifico; quest’onda avrebbe causato la rottura dei collegamenti della nave alla piattaforma italiana, generando, quindi, la fuoriuscita di petrolio. Con il passare dei giorni, le dichiarazioni della compagnia sono divenute incoerenti: da una parte, Repsol ha spiegato che il piano d’emergenza, approvato dal governo peruviano nel 2015, è stato applicato correttamente, al contrario il capitano della Mare Doricum ha affermato pubblicamente che l’adozione delle contromisure necessarie a contenere l’emergenza ha tardato. Dall’altro lato, l’impresa ha dichiarato la fuoriuscita di soli 6.000 barili, mentre le autorità locali, a seguito di un’indagine in loco, hanno denunciato lo sversamento di ben 11.900 barili. Non disponendo di squadre di operai specializzati né di equipaggiamenti sufficienti per il recupero del petrolio versato, la Repsol si è affidata a imprese esterne che hanno reclutato abitanti delle comunitá costiere privi di mezzi, addestramento e ormai speranza.
Cosa chiede la società civile?
L’impegno della società civile è stato forte: associazioni, volontari e attivisti hanno partecipato a numerosi interventi volti a contenere il più possibile i danni causati dal disastro; comunità locali direttamente coinvolte e cittadini sono scesi in strada per chiedere a gran voce giustizia alla Repsol. Del resto, qua in Perù, non è la prima volta che imprese straniere con le loro azioni danneggiano territori e popolazioni; basta considerare che solo tra il 2000 e il 2019, i lotes petroliferos (campi petroliferi) in Amazzonia e l’oleodotto Norperuviano sono stati la fonte di 474 fuoriuscite, lasciando gravi impatti ambientali che si aggiungono agli oltre 2.000 siti impattati e contaminati identificati nel territorio dell’Amazzonia settentrionale****. Il problema piú grande rimane che lo Stato non hai mai adottato una posizione netta e decisa, con apposite leggi e sanzioni; a contrario, nella maggior parte dei casi, le imprese terze ne sono uscite impunite.
Le organizzazioni della società civile denunciano quindi l’assenza di meccanismi di supervisione dell’attività imprenditoriale nell’adempimento dei suoi obblighi e della dovuta diligenza per garantire il rispetto del quadro di protezione dei diritti umani e dell’ambiente.
Si esige non solo che la Repsol assuma la responsabilitá diretta per questo disastro ambientale, ma anche che controlli e contenga la contaminazione del petrolio con una risposta rapida e opportuna e con materiali e mezzi tecnologici adeguati, rispettando i procedimenti previsti dal Plan de Contingencia (Piano di Emergenza). È urgente che si rafforzi il tessuto istituzionale per fronteggiare emergenze ambientali di tal tipo, da un punto di vista, soprattutto, di capacità di valutazione, controllo e sanzione dei delitti ambientali, con l’obiettivo di non permettere alle imprese di sottrarsi alla propria responsabilità. È ora che lo Stato assuma il suo ruolo di garante dei diritti e imponga il rispetto delle regole, viste le innumerevoli violazioni ai diritti umani e all’ambiente che il paese affronta ogni giorno.
* Dati raccolti da SERNAP (Servicio Nacional de Áreas Naturales Protegidas por el Estado), ente accreditato dal Ministero dell’Ambiente del Perù (MINAM)
**Vedi: Decreto Supremo 021-2022-MINAM https://busquedas.elperuano.pe/normaslegales/declaran-en-emergencia-ambiental-area-geografica-que-compren-resolucion-ministerial-n-021-2022-minam-2032893-1/
***Vedi: Resolución MINAM n.° 00013-2022-OEFA/DSEM
****Si veda: “La sombra del petróleo: Informe de los derrames petroleros en la Amazonía peruana entre el 2000 y el 2019”, Aymara León, Mario Zúñiga, Subgrupo sobre Derrames Petroleros, del “Grupo de Trabajo sobre Pueblos Indígenas de la Coordinadora Nacional de Derechos Humanos 2020”.