9 MESI E MEZZO

Chiara Segafredo, volontaria in servizio civile FOCSIV a Salinas de Guaranda, Ecuador.
Miércoles 7 de enero 2015, Salinas de Guaranda, 3.550 mt. FELIZ AÑO NUEVO de todo corazón a todos!! Che sia un anno ricco di cose belle, di semina tenace e di raccolto abbondante, di affetto, tenerezza e condivisione; che ogni prova possa essere un’occasione per dare di più, cercando di superare un pochino i propri limiti, ma anche per sperimentare fortemente il dare-ricevere.
Rileggo alcuni pensieri scritti appena arrivata a Salinas per il mio anno di servizio civile;
9 aprile 2014: arrivata a Salinas da 11 giorni, oggi con la mia collega, una missionaria venuta qui con la sua famiglia, abbiamo fatto una visita alle donne delle tre comunità più alte della zona, a 4200 mt. Lassù la vita è davvero dura, con privazioni e disagi notevoli. C’è un vento fortissimo e freddo; spero di essere all’altezza del lavoro con le donne. Molte di loro, quelle delle comunità, sono visibilmente più chiuse. Se penso al duro lavoro quotidiano che fanno, dentro e fuori casa, e alle condizioni di privazione in cui sono, mi sento così distante da loro. Riuscirò a farmi sentire vicina a loro prima di tutto col mio comportamento, pur provenendo da una realtà così differente e distante? In certi momenti mi domando davvero se potrò entrare in un’autentica relazione con le persone che abitano qui e se potrò essere utile senza però sostituirmi a loro.
Che posso raccontare da qui? Ci sarebbero tante e tante cose, esperienze vissute in questi 9 mesi e mezzo di servizio civile a Salinas, anche a contatto con le povertà presenti, che sono prima di tutto educative, direi culturali. Una povertà che certo non riguarda tutto l’Ecuador (paese che si sta sviluppando tantissimo in termini economici, in cui sarebbe più facile per me trovare lavoro rispetto all’ardua missione che mi attende in Italia) ma è fatta di mancanza di mezzi prima di tutto educativi e culturali per ancora molti strati della popolazione, come per le donne indigene e campesinas.
Quest’anno passato in una comunità rurale sulle Ande ecuadoriane è stato un grande dono, con le sue sfide e le sue perle, le mille domande e perplessità, così come i tanti momenti di condivisione reale e profonda con le persone; non scorderò ad esempio la torta a sorpresa da parte del gruppo femminile di una comunità di Salinas per il mio compleanno, né i sorrisi di comprensione delle donne, le chiacchiere con loro al mercato del martedì, i bambini e le loro manine infreddolite, i giochi con loro, i pranzi offerti nelle visite alle comunità.
Vengo da una settimana in giro per il paese tra Amazzonia ecuadoriana (oltre ad aver assaggiato la famosa chicha e mangiato un gusano (verme) ricco in olio, abbiamo avvistato due rarissimi esemplari di delfino rosa di acqua dolce), playas esotiche sull’oceano pacifico, danze latinoamericane no-stop per capodanno, lagune a 4000 metri in pieno páramo andino con due amici di Padova che sono venuti a trovarci per Natale e Capodanno.
Con oggi manca solo un mese e mezzo alla fine dell’esperienza di servizio civile. Da una parte mi spiace che finisca, soprattutto per 3 motivi:
1. le sensazioni che si provano a essere immersi in un luogo “altro” da quello da cui si proviene, in una cultura “altra” con le differenze di mentalità e di codici sociali che ne derivano;
2. i paesaggi andini e i colori: quelli delle montagne, del cielo e dei vestiti delle donne indigene, i viaggi on the road e la possibilità di farli per il costo economico della vita; la possibilità di scendere in picchiata dalle Ande fino al mare e risalire quasi fino a toccare il cielo.
3. Il mio campo di servizio, il tema dell’empowerment femminile che mi ha conquistato e mi appassiona molto, un tema vivo, reale e profondo, attraverso il quale mi porto dentro volti, sorrisi, fatiche, storie da custodire; e ancora mi mancherà la conoscenza e condivisione instaurata con molte delle 30 comunità di Salinas, la possibilità di avere “carta bianca” e inventarsi un percorso con le donne, protagoniste loro.
Ma dall’altra sento di aver un po’ le “pile scariche”. Il lavoro con le donne e comunque in campo sociale in una realtà dove i rapporti e le relazioni (personali e anche di lavoro) sono differenti da come le viviamo in Italia, richiede un’energia grande, una continua capacità di mettersi in discussione e di ripensarsi fuori dalla propria cultura, rivedere le proprie priorità, nonché un’enorme pazienza. Ragionavo poco tempo fa di come mi trovo bene, “a casa” con “gli ultimi”, i più lontani, e invece talvolta la difficoltà sia proprio con le realtà “più vicine”: le fondazioni, alcune persone del posto, chi è forse culturalmente meno distante. Mi sento tanto arricchita dal contatto con le donne di comunità rurali lontane da tutto, persone che portano avanti l’intera famiglia da sole, con una forza e un sacrificio incredibili. Le stimo moltissimo e con molte si è creato un rapporto di rispetto, affetto, direi di amicizia.
Ho scritto un report di un anno di lavoro a contatto con le donne, con i centri femminili e con le comunità di Salinas. Sentiamo, con la mia compañera di lavoro, Erica, che vive qui da un anno con la sua famiglia, il desiderio di condividerlo con tutti, perché l’incontro con ognuna di queste donne ci ha permesso, dal páramo al sub−tropico, di venire a contatto con persone, famiglie, comunità, risorse e assenze, gioie e sofferenze; questo attraverso gli occhi di donne che ogni giorno si spendono e lottano con tutte le forze a loro disposizione.
Sentiamo davvero che in queste pagine si riassume un anno di condivisione, di viaggi alle comunità e per le donne, di viaggi verso Salinas, per incontrarsi, scambiarsi idee, sogni, bisogni, cercando soluzione alle domande tra loro. E in questo cammino, il regalo più bello arrivato in questo Natale viene da una delle comunità con cui ancora non eravamo riuscite a prendere contatto: il giorno prima di Natale ha bussato alla porta chiedendoci di entrare nel percorso-donne.
Un grazie di cuore a Salinas e alle sue comunità, alla possibilità di svolgere il mio servizio civile qui, per tutto quello che ho imparato e ricevuto. Vivendo queste ultime settimane di lavoro, “preparandosi” ad andare via, penso a quello che era dall’inizio il nostro impegno, come dice il nome stesso: essere al servizio.
Nessuno è indispensabile; lo sappiamo fin da subito che passati gli undici mesi ce ne andiamo, e fa bene vivere questo “sentirsi piccoli”, essere stati “solo” al servizio. È bello sentire proprie queste parole “ciò che conta non è fare molto, ma mettere molto amore in ciò che si fa”.