Formazione e Cooperazione. Una intervista a Gianfranco Cattai, Presidente di Focsiv
Ormai da due settimane circa, finalmente Silvia Romano è tornata a casa, in Italia, dopo un anno e mezzo circa di prigionia, in Kenya e in Somalia. L’Italia si è divisa sulla sua conversione, vera o presunta. Si è divisa persino sul riscatto pagato (probabilmente). L’intervista di Gianfranco Capozzoli a Gianfranco Cattai, presidente FOCSIV.
Ormai da due settimane circa, finalmente Silvia Romano è tornata a casa, in Italia, dopo un anno e mezzo circa di prigionia, in Kenya e in Somalia. L’Italia si è divisa sulla sua conversione, vera o presunta. Si è divisa persino sul riscatto pagato (probabilmente).
Le questioni secondo la mia opinione da affrontare però sono anche altre, e partono da quelle che sono state le mie esperienze di reporter nel continente africano. A Zanzibar, in Senegal e in Kenya dove ho
raccontato e seguito associazioni di volontari italiani e europei.
E proprio a partire da queste esperienze che alcune questioni sono, credo, fondamentali. La formazione,
la preparazione, una certa empatia di fondo. Ma anche una apertura verso culture altre rispetto alle
nostre. Una conoscenza seppur sommaria di usi e abitudini di luoghi distanti dalle nostre abitudini, dalle nostre tradizioni, dalla nostra cultura del diritto e della legge.
Ne ho parlato a lungo con Gianfranco Cattai, presidente FOCSIV, la Federazione degli Organismi Cristiani Servizio Internazionale Volontario alla quale aderiscono 87 ONG che operano in oltre 80 paesi del mondo, compresa l’Italia, in una lunga intervista, che si è trasformata in una chiacchierata costruttiva e di confronto.
Cattai è uomo con una pluridecennale esperienza su tali questioni.
Domanda: Mi interessa sapere il tuo punto di vista sull’eventuale pagamento per il riscatto della giovane italiana rapita, innanzitutto.
Risposta: Ti ringrazio della opportunità di discutere assieme di queste questioni. Relativamente al riscatto, c’è da dire che l’Italia rispetto ad altri Stati europei e non solo, ha portato avanti, da sempre, una politica di pagamento di quanto richiesto dai rapitori. A differenza, come dicevo, di altri Stati che hanno deciso di non pagare -almeno ufficialmente – il riscatto al fine di scoraggiare rapimenti per ricatti economici.
Importante è che questa giovane volontaria, sia tornata a casa sana e salva…
Si è questo l’aspetto più importante. Per lei, per la sua famiglia. Bisogna darle il tempo ora di ripensare a
questa sua drammatica esperienza. Bisogna rispettare il tempo del suo rientro, di rielaborare quanto
accaduto.
Bisogna rispettare anche quella che sembra una scelta di vita: la sua conversione…
È un discorso molto complicato. Credo che sia difficile anche solo immaginare le sofferenze enormi e le
condizioni fisiche, psicologiche e spirituali che ha dovuto affrontare questa giovane donna. La domanda che mi pongo e ti pongo è se sia una reale scelta.
Certo bisogna immaginare le violenze subite…
È importante chiederselo. Pur rispettando la sua scelta, come ho accennato, bisogna darle del tempo,
affinché sia lei stessa a ripensare, a pensare in maniera autentica, alla sua decisione. E a quel punto
accettarla in quanto tale.
Tu ti sei occupato da anni appunto di incontro tra le culture e le differenti religioni. In che modo è possibile favorire uno scambio e un dialogo tra le religioni?
Io stesso nel corso degli anni e della mia esperienza maturata sul campo, ho collaborato per esempio in
Burkina Faso alle attività del Centro per la Pace, lo scambio e la conoscenza reciproca come esperienza
vissuta realmente. Un centro presieduto a turno tra Imam e Vescovo Cattolico. Credo fermamente che sia necessario valorizzare un incontro, un dialogo costante tra le diverse religioni, tra l’Islam e la religione cattolica. Anche al fine di valorizzare l’apporto delle religioni, nello sviluppo della persona umana.
Nel corso della tua lunga esperienza, è mai accaduto che qualcuno/a dei vostri cooperanti e volontari si sia convertito?
No, che io ricordi. Voglio sottolineare che non sarebbe nessun scandalo. Se fosse, però, una scelta profonda, sentita. Nel caso di Silvia Romano, non possiamo sapere.
Eppure bisogna evitare le strumentalizzazioni…
È fondamentale. Ed è importante che lei continui nella sua scelta. Una decisione solo sua. Tendo a pensare che probabilmente nella incertezza quotidiana della morte, la sua scelta, non sia stata così libera. Ma sarà lei a deciderlo.
È mai accaduto che qualcuno dei vostri volontari, in tanti anni di attività e in contesti di crisi e di difficile gestione, sia stato rapito?
No, non ci sono mai stati rapimenti. Mai, in 48 anni di attività. Rapimenti in senso proprio, ai fini di
estorsione. Abbiamo avuto però vittime di ferimenti o uccisioni, tra i nostri cooperanti, ma mancava la
matrice ricattatoria. Mi ricordo con enorme tristezza il caso di una donna, molto esperta del paese nel quale stava operando. Una donna che aveva passato molti anni in Burundi. Conosciuta e stimata dalla
popolazione locale. Il presidente della associazione, sul posto, le disse di una nuova insicurezza nei villaggi. Lei nonostante tutto decise di rimanere comunque. Venne uccisa assieme ad altri due missionari.
Dicevi di una nuova insicurezza…
Sì perché le situazioni possono mutare velocemente in alcuni contesti. Un paese che era sicuro lo scorso
anno, può presentare l’anno successivo delle insicurezze non previste. Che nascono da situazioni nuove e che determinano nuove conseguenze.
Prima quando parlavi di questa donna uccisa, hai detto della sua grande esperienza maturata negli anni e della sua formazione precisa: da volontario, a docente universitario e a responsabile con vari incarichi nel mondo della cooperazione. Veniamo ad un punto, per me, cruciale di questa discussione. La formazione dei volontari, che oltre a portare avanti dei progetti di volontariato, necessitano di una reale e fondamentale formazione, proprio per evitare di trovarsi in contesti e situazioni difficilmente gestibili.
La formazione dei volontari ed in particolare dei giovani è di vitale importanza. È parte proprio della nostra mission. Decidere di partire come volontario, infatti, non è solo una questione personale, ma è partecipare a un modello di società. Modello di società che coinvolge gli altri, l’altro. È stato ed è un punto fondamentale.
Bisogna chiedersi che cosa si propone alle persone che decidono di partire per fare questa straordinaria
esperienza. Non è semplice, è, anzi, qualcosa di molto articolato. È, sottolineo, proprio un fattore culturale. Guarda, dal 1972 anno del mio primo viaggio in Africa, a Dakar con uno dei fondatori di Focsiv, ho fatto esperienza di questo fattore culturale. Mi è stato trasmesso immediatamente il senso del servizio volontario, come esperienza di vita, come esperienza culturale, di incontro e di confronto tra culture, di un diverso modo di intendere le relazioni e le religioni. Una esperienza fondamentale tra le ingiustizie globali. Una vera scelta di valore.
È una scelta individuale, ma che deve essere, come dire, convogliata….
Esattamente. Bisogna chiedersi autenticamente cosa sia la formazione. La mia, la nostra risposta, è che sia una formazione su dei valori. Che porti ad un consolidamento, ad un rafforzamento dei valori, soprattutto per chi vuole andare all’estero. Bisogna dare un senso concreto al sentimento del prendersi cura degli altri, dell’altro, a lavorare con dei partners locali. Ma questo è solo il principio. È altrettanto necessario insegnare a prepararsi a vivere in contesti culturali completamente diversi dai nostri. Dove ci sono relazioni diverse da quelle a cui siamo abituati. Formarsi a contesti culturali diversi significa approfondire cultura e comportamenti sia degli altri che di sé stessi.
È necessario, come dire, evitare una sorta di violenza comportamentale involontaria nei confronti della
cultura che ci ospita. Proponendo dei modelli occidentali, che in altri contesti, appunto, non funzionano.
Contesti culturali, inoltre, che mutano nel tempo, anche rapidamente. Usi e costumi che vanno indagati e che necessitano di tempo e pazienza per essere conosciuti e studiati. Contesti che sono diversi a seconda che siano urbani o rurali. È necessario conoscere e riconoscerli ed è fondamentale conoscere le nostre stesse reazioni in questi contesti.
Anche perché i rischi, appunto, sono alti…
Anche in contesti normalmente sicuri, la non conoscenza di alcuni comportamenti ritenuti illeciti in alcune comunità può essere un fattore di insicurezza e pericolo.
Prima dicevo di mantenere dei comportamenti occidentali di strafottenza, incuria e poca cura dell’altro…
Che sono esattamente mancanza di rispetto e attenzione per la cultura che ci ospita. È necessario formare a questa attenzione e questo rispetto delle tradizioni del posto. Il rischio è quello di offendere le persone, e di essere mal interpretato per alcuni atteggiamenti che loro ritengono sacri. E noi invece no.
È necessario dare a questi volontari e cooperanti di tutti gli elementi utili per capire dove si va, dove ci si trova.
Questo discorso se vale in Italia tanto più vale per l’estero. Quartieri a rischio ce ne sono anche in Italia.
Dove ci sono altre regole e altre dinamiche. E proprio a partire da questa conoscenza del posto che è
necessario raccogliere le esperienze e i racconti di chi è già stato in queste realtà. Di chi ha già vissuto
queste esperienze. In Focsiv fanno capo 87 organismi e 28.000 volontari in quasi 50 anni di attività, in tutto il mondo, in tutte le realtà. Chi voleva partire inizialmente partiva per un tempo piuttosto lungo, di 2/3 anni. Questo tempo si è sempre un po’ più ridotto. Ebbene c’è sempre stato un passaggio di esperienze. Un racconto di chi era sul posto, a chi stava invece per partire. Bisogna tener conto che nonostante il racconto, una volta sul posto, l’esperienza va vissuta realmente, concretamente. Autenticamente.
Come Focsiv avete, dunque, sempre sul posto un referente?
Si, c’è sempre una persona di riferimento, di accompagnamento del sistema degli organismi Focsiv. . È
obbligatorio. ed è necessario anche per ripetere tutte le cose che gli sono state dette ed insegnate in Italia. C’è un aspetto che voglio sottolineare: l’individualismo della cultura occidentale può toccare anche il volontariato, il volontario, ossia, di chi sceglie di partire per una propria esclusiva scelta individuale e non come disponibilità a mettersi in relazione all’altro. Noi cerchiamo di formare i nostri volontari nella messa in discussione sempre e di nuovo, del proprio punto di vista.
…come un ripensare e un domandarsi costante della propria scelta…
Il volontariato può anche essere preso come un impegno professionale. Ma non può e non deve restare solo una professione. Il rischio è rincorrere carriere internazionali, in istituzioni internazionali, senza vivere quelle esperienze piene, ricche di vita, che si ha l’occasione di fare in questo caso. L’esperienza di volontariato non deve vendere nessun prodotto. È una vera esperienza di libertà, di vita, nel senso più pieno di questa parola. E proprio per questo va sviluppata fino in fondo. È determinante, necessario anche per leggersi interiormente, quotidianamente. L’incontro con un altro mondo, con un’altra cultura, con un’altra idea di società, di vita, di relazioni fa scaturire novità che accadono, letteralmente, interiormente. Novità decisive per comprendere e capire il proprio percorso personale.
Novità che accadono nei miracoli della quotidianità…
Esattamente. In questo senso non bisogna lasciarsi addormentare, ma essere invece attore della propria
vita. Rendere questa esperienza una esperienza forte. Anche nella gestione di sé stessi in un contesto così diverso. “Costruitevi il vostro futuro“, per citare Papa Francesco.
…non solo con lo stipendio ma come trasformazione del mondo, e come trasformazione di noi stessi nel mondo. E torniamo ancora alla formazione e ai valori nei quali, come Focsiv, formate…
Sono i valori della cultura del dono, della gratuità, del rispetto, dello Stato, del Diritto. Sono valori cristiani affiancati da quei valori laici sanciti, ad esempio, nella Legge di cooperazione 125/1914 all’art.1.
I diritti umani, la pace come fondamento della politica estera italiana.la giustizia, le relazioni solidali tra i popoli, l’interdipendenza, il partenariato, la centralità della persona umane, come individuo e come
appartenente ad una comunità. Come non riconoscersi in questa legge laica.
…e condividerne il telos e la profondità…
Il nostro prossimo è un fratello, non un diverso. I nostri valori religiosi si complementano con quelli laici, dello Stato Italiano.
Quali sfide per l’immediato futuro?
In Italia sull’onda della situazione attuale circola la proposta che bisognerebbe bloccare la libera iniziativa di molti dei soggetti della società civile in modo da evitare di pagare possibili riscatti nel caso di sequestri. Intanto direi che bisognerebbe interpellare anche chi – come noi – ha maturato esperienze positive nel corso degli anni. In secondo luogo direi che non bisogna cedere alla tentazione di bloccare la volontà di chi vuol mettersi a disposizione ma piuttosto fare in modo che i 4000 enti di solidarietà internazionale censiti dall’Istat siano invitati ed accompagnati ad accedere a formazioni già in essere in questo paese ricco di esperienze di reciprocità tra le nostre comunità. Attenzione a far crescere il controllo e la burocrazia a scapito della qualità delle relazioni