Il debito ecologico e finanziario da Siviglia a Belem

Fonte immagine Dudarev Mikhail/Shutterstock.com in ’Unprecedented’ loss of biodiversity threatens humanity, report finds
Ufficio Policy Focsiv – Partecipando al Webinar “Dal debito alla cooperazione” – Focsiv Andrea Stocchiero ha rappresentato la campagna Cambiare la rotta, esponendo le seguenti considerazioni all’attenzione di Paolo Gentiloni, co-presidente della Commissione ONU sulla crisi del debito.
La campagna giubilare cambiare la rotta, trasformare il debito in speranza, propone una riflessione e azione sul rapporto tra debito finanziario e debito ecologico, due facce della stessa medaglia. La visione che ci guida è quella dell’ecologia integrale, guardiamo al debito non come a una dimensione a sé stante, separata, tecnico-finanziaria, ma come profondamente interagente con la dimensione umana e naturale. Una visione integrata sociale, ecologica, politica e spirituale. Guardiamo alle due facce.
La prima faccia. Il debito ecologico del nord verso il sud del mondo è una storia di espropriazione, estrazione e sfruttamento delle risorse naturali e umane per il mercato dei paesi ricchi ed ora emergenti. Uno sfruttamento che ha accumulato emissioni e consumo di carbonio causando il riscaldamento climatico e una crescente perdita di biodiversità e vita. I due fenomeni hanno la stessa radice e interagiscono tra loro. Il riscaldamento climatico indebolisce la biodiversità che a sua volta riduce l’assorbimento di carbonio, peggiorando gli ecosistemi.
Secondo un recente rapporto della Convenzione delle Nazioni Unite per combattere la diversificazione, si stima un depauperamento delle risorse naturali a causa del riscaldamento climatico per circa 44 trillioni di dollari. Fino a 1 milione di specie sono a rischio di estinzione, mentre l’85% delle terre umide, bacini di assorbimento di carbonio e fulcro di biodiversità, sono già scomparse.
La causa principale è il sistema, il paradigma tecnico finanziario senza limiti denunciato da Papa Francesco nella Laudato Sì, che consuma il creato producendo crescenti disuguaglianze.
La seconda faccia. Il debito ecologico si lega al debito finanziario in diversi modi. Molti paesi impoveriti continuano a cedere lo sfruttamento delle proprie risorse perché sono intrappolati nel pagamento del debito finanziario, senza creare valore aggiunto locale e riducendo le spese sociali. Mentre la finanza per lo sviluppo e per il clima genera nuovo debito in un ciclo perverso.
Le nazioni africane hanno contribuito storicamente solo per l’1,9% delle emissioni di carbonio fronteggiando un peso del debito molto gravoso. Prendono a prestito finanziamenti per opere di adattamento e ripristino, per far fronte a disastri naturali che si stima provochino perdite annue del 2-5% del prodotto interno lordo fino al 2030. Nel 2022, 57 paesi impoveriti e vulnerabili al riscaldamento climatico hanno pagato 59 miliardi di dollari per rimborsare il debito, mentre hanno ricevuto solo 28 miliardi in finanza climatica, di cui oltre la metà con nuovi prestiti. Si calcola che per ogni 5 dollari ricevuti, i paesi in via di sviluppo stiano rimborsando 7 dollari, con una perdita netta che peggiora il peso del debito
E’ necessario convertire il debito finanziario e il debito ecologico in un progresso sostenibile e in modo equo a livello internazionale, a partire da chi ne paga le maggiori conseguenze pur essendo il meno responsabile: i paesi impoveriti. Occorre creare un nuovo equilibrio dei poteri economici, tecnologici, politici in un quadro multilaterale.
Purtroppo siamo tutti concentrati sulla guerra e sulle spese militari: un falso dilemma che ci distrae dal fatto che la crisi climatica sta accelerando e che dobbiamo difendere quel poco che è stato fatto con le COP e con il green deal.
A Siviglia l’accordo ha partorito pochi impegni sul rapporto tra debito ecologico e finanziario: qualche indicazione sui debt for nature swap, la richiesta di miglioramenti delle valutazioni del debito, la proposta di clausole di sospensione di pagamento del debito quando i paesi sono colpiti da disastri naturali. Nulla di strutturale. E senza alcun impegno concreto in termini di generazione di nuova finanza a bassi tassi di interesse per lo sviluppo e il clima. Molto viene rimandando all’appuntamento COP30 di Belem.
E a Belem?
A Belem occorrerà dare più spazio ad una finanza climatica per le comunità locali, in modo che venga rimborsato il debito ecologico riducendo il peso del debito finanziario attraverso la generazione di valore e benessere locale.
E’ il grande tema del potere e dell’accesso alla finanza per le comunità locali: solo il 2-4% della finanza climatica arriva alle comunità locali, e lo stesso per la finanza verso l’agroecologia. E’ necessario migliorare l’accesso ma anche ampliare lo spazio e il potere, ad esempio, dei Fondi dei popoli indigeni e della finanza etica. L’aiuto pubblico allo sviluppo deve ritrovare centralità, contro i tagli, rispettando l’obiettivo dello 0,7% del reddito nazionale lordo.
A livello italiano sarà importante prevedere il rifinanziamento del fondo italiano clima, aumentandone la concessionalità, adottando un approccio meno tecnico-finanziario e più sociale, aprendo una finestra reale per programmi finanziari che prevedano l’accesso diretto delle comunità locali.
Riguardo la conversione del debito italiano e i progetti del Piano Mattei è indispensabile una valutazione ex ante importante e trasparente, usando i Rio marker ma anche gli Inequality marker, oltre a garantire un maggiore accesso delle comunità locali.
Infine, a livello strutturale, sono necessari impegni concreti per generare più finanza concessionale con risorse da fiscalità internazionale attraverso la tassazione degli uomini più ricchi del pianeta, delle multinazionali, e delle rendite delle grandi società finanziarie, piovre di potere. Questo significa rafforzare i processi in corso per regole multilaterali di giustizia, come ad esempio quello sulla tassazione internazionale e per principi guida sui prestiti e debiti responsabili.