La crisi del lavoro divide sempre più la società dal Sud al Nord

Il 15 dicembre 2015, presso la Sala Aldo Moro del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, si è tenuta la presentazione del “Rapporto sullo sviluppo umano 2015”, offrendo una panoramica generale sul mondo del lavoro e sulle condizioni lavorative generatrici di sviluppo umano.
Il rapporto dell’UNDP ha scelto il tema del lavoro poiché la situazione del lavoro oggi è ben diversa rispetto a quella di qualche anno fa: il mondo lavorativo è composito e presenta grandi opportunità per alcuni e svantaggi e condizioni di sfruttamento per altri. Secondo Antonio Vigilante, Vice Rappresentante Speciale del Segretariato Generale per il consolidamento della pace in Liberia e presentatore del rapporto, i più avvantaggiati sono coloro che detengono specializzate conoscenze scientifiche e tecnologiche, principalmente provenienti dalla popolazione maschile, mentre i perdenti del sistema sono coloro che hanno competenze ordinarie non specializzate tipiche di lavori progressivamente affidati al capitale fisico piuttosto che a quello umano. Nel rapporto il lavoro è inteso in senso olistico, non solo come fattore economico produttivo ma come attività umana che conferisce al singolo individuo dignità e senso di partecipazione. Nelle varie declinazioni dell’attività lavorativa, il documento comprende anche il lavoro non pagato (servitù domestica), lavoro forzato, sfruttamento, lavoro minorile e volontariato. I dati del rapporto mostrano come la natura stessa del lavoro sia cambiata negli ultimi decenni: la globalizzazione non si muove più per settori produttivi ma è frammentata, ossia si muove per processi e per fasi del processo produttivo, e chi non si specializza rischia di essere intrappolato negli anelli con minore valore aggiunto della catena produttiva globale.
Dando uno sguardo ai dati del rapporto si legge che, a livello globale, la povertà è diminuita, vi è un maggiore accesso all’acqua potabile e si registra un aumento del tasso di scolarizzazione. Tuttavia dati preoccupanti arrivano dagli elevati tassi di disoccupazione giovanile, dall’aumento della diseguaglianza (1% della popolazione mondiale detiene il 48% della ricchezza mondiale), dalla bassa percentuale di contratti lavorativi (solo il 26% dei lavoratori pagati nel mondo ha un contratto), e dal gender gap (il numero delle donne è maggiore rispetto agli uomini nei lavori non pagati e sottopagati e minore nei lavori pagati, sia nell’ambito pubblico che privato). A livello di performance in termini di sviluppo umano dei singoli Stati, l’Italia ricopre il posto 27 in classifica (posizione pressoché stazionaria negli ultimi anni), al primo posto troviamo la Norvegia seguita da Australia mentre l’ultimo della classifica è il Niger. Riguardo all’Italia, il nostro paese si conferma longevo, secondo solo al Giappone in termini di speranza di vita, e presenta buoni risultati per i tassi di mortalità materna. Negativa invece la situazione relativa al lavoro: 49% di disoccupazione giovanile, bassa percentuale di laureati e, in comparazione con gli altri paesi europei, la percentuale più bassa (3%) in termini di soddisfazione verso il mercato del lavoro.
A sua volta, Enrico Giovannini, professore ordinario in Statistica Economica presso l’Università di Roma Tor Vergata, ha fornito un quadro tecnico e realistico relativamente alle prospettive future dell’odierno mondo del lavoro: ci sono dei risultati positivi in molte aree del mondo ma ci troviamo assolutamente fuori da un sentiero di sostenibilità sociale ed ambientale poichè la crescita economica non sarà sufficiente ad evitare un aumento della disoccupazione, l’ondata di innovazione tecnologica comporterà una graduale sostituzione del capitale umano con le macchine e la distribuzione del reddito andrà sempre più a favore dei profitti con la creazione di una gran massa di sotto salariati. Diversamente da quanto avvenuto per la questione dei cambiamenti climatici con l’accordo di Parigi, i leader mondiali non potranno negoziare e adottare una convenzione sul rischio di sostenibilità sociale in quanto non abbiamo un limite massimo scientificamente misurabile oltre cui il danno diventa irreparabile.
L’Europa, con circa 120 milioni di persone a rischio povertà, tra cui molti bambini, è direttamente chiamata in causa nell’implementare delle politiche che limitino l’insicurezza sociale. Italia ed Europa hanno perso una quantità drammatica di capitale umano a causa della crisi finanziaria ed economica; per l’Europa il costo dei NEET (Not engaged in Education, Employment or Training) è stato quantificato con 155 miliardi di euro/anno. Le imprese che hanno reagito alla crisi sono quelle che hanno investito in capitale umano e innovazione e da questo punto di vista l’Italia ha una performance pessima, imputabile anche alle scelte imprenditoriali centrate sui tagli al personale, ai salari e agli investimenti in innovazione e tecnologie. Per la ripresa è necessario che l’Unione Europea s’impegni a promuovere un sistema di economia circolare centrato su capitale umano, innovazione e compatibilità ambientale: solo rendendo i lavoratori competitivi si può mantenere la stabilità sociale. Inoltre è urgente agire sul lato della protezione sociale che, per essere sostenibile, significa reddito minimo garantito, introduzione, reinserimento e valorizzazione del capitale umano.
Infine, Giampaolo Cantini. Direttore Generale per la Cooperazione allo Sviluppo, rileva che dal rapporto emerge in modo chiaro che la creazione di un lavoro dignitoso è fondamentale per la riduzione della povertà. Per un lavoro dignitoso è fondamentale l’istruzione primaria e dunque dare priorità a programmi che sono indirizzati a promuovere accesso al mercato del lavoro a partire dall’istruzione e soprattutto per la popolazione femminile. Un altro tema fondamentale che emerge dall’analisi del documento UNDP è quello della formazione professionale (da questo punto di vista il MAECI ha un programma in Egitto che promuove vocational training e stage in azienda) e della correlazione tra migrazione e sviluppo. Da quest’ultimo punto di vista abbiamo la responsabilità di creare opportunità per chi deve fuggire da situazioni critiche. Oltre al grande lavoro da fare nei Paesi di transito e accoglienza, bisogna agire nel Paese di origine offrendo opportunità di lavoro tramite programmi di gestione del suolo, di microirrigazione, microcredito per job opportuities e microimpresa e altri programmi per evitare il degrado ambientale. Infine un’ultima riflessione sulla responsabilità sociale d’impresa: questo punto è fondamentale perché il tema del lavoro dignitoso e del rispetto dei diritti del lavoratore è centrale all’interno del ruolo imprese nella cooperazione allo sviluppo, tema molto dibattuto a livello nazionale, europeo ed internazionale. La responsabilità sociale è un modo di fare impresa, è un veicolo importante per la creazione di lavoro e dunque è necessario agire per rendere l’impresa responsabile soggetto di cooperazione e promotrice di lavoro dignitoso.