La negoziazione sui minerali provenienti da aree di conflitto è alla stretta finale! Attiviamoci!
Martedì 5 aprile il Parlamento Europeo e la Commissione Europea si incontreranno a Bruxelles con la Presidenza olandese del Consiglio per la seconda negoziazione del Trilogo sul regolamento inerente i minerali dei conflitti. FOCSIV, assieme a CIDSE, continua il proprio impegno nella campagna sui minerali dei conflitti per chiedere ai leader politici europei un regolamento ambizioso e vincolante che obblighi tutte le imprese che operano lunga tutta la filiera produttiva e commerciale relativa ai minerali che provengono da paesi in conflitto di agire secondo norme di responsabilità sociale e ambientale, contro lo sfruttamento di bambini, donne e uomini e contro le bande armate che ne traggono profitti.
Il 1 Febbraio si è tenuto un nuovo incontro tra rappresentanti del Parlamento e Consiglio e, in occasione di tale consultazione, FOCSIV con CIDSE hanno deciso di lanciare una nuova fase della campagna sui minerali dei conflitti per fare pressione sui leader politici chiedendo un’ambiziosa assunzione di responsabilità nei confronti della tutela dei diritti umani in quest’ultima cruciale fase decisionale. È possibile firmare una lettera dei cittadini europei ai politici dell’Unione nella quale si esprime la profonda preoccupazione che “i prodotti che si comprano potrebbero nascondere storie di sofferenza”, consci che per l’estrazione dei minerali sono sfruttati uomini, donne e bambini, arricchendo bande armate che agiscono in paesi come il Congo. I minerali sono commerciati il più delle volte illegalmente e sono utilizzati per produrre, ad esempio, cellulari e computer. L’acquisto di minerali di dubbia provenienza, da parte delle aziende rende, queste ultime, “complici” delle bande armate. Anche i consumatori-cittadini non devono essere complici e costringere politici e imprese a mettere in primo piano la difesa della vita umana e la protezione dell’ambiente.
La campagna e la relativa petizione sono presentate da Abate Léonard Santedi, Segretario Generale della Conferenza Episcopale della Repubblica Democratica del Congo, nell’articolo pubblicato oggi sull’importante portale di notizie di policy europea e internazionale Euractiv. Nell’articolo emerge come la partecipazione ad iniziative che possano fermare il commercio dei minerali dei conflitti, come quella della nostra petizione, sia nell’interesse di tutti: delle imprese che saranno sicure di non alimentare violazioni di diritti umani, delle popolazioni che vivono nelle zone circostanti le miniere che non dovranno più subire violenze e stupri, dei cittadini consumatori europei che avranno la garanzia di non essere complici di atti criminali acquistando prodotti “puliti”-
Siamo quindi tutti chiamati ad attivarci ora, in questo momento cruciale della negoziazione, affinchè il risultato sia positivo e ambizioso per il bene comune.
Di seguito riportiamo il testo dell’articolo in italiano:
Gli Stati membri dell’Unione Europea non devono indebolire le proposte per fermare il commercio dei minerali dei conflitti
Fa riflettere il fatto che il tuo smartphone possa contenere minerali sporchi di sangue. Tanto più che gli Stati membri dell’Unione Europea sono in fase di ridimensionamento delle proposte che potrebbero fermare questo fenomeno. L’anno scorso il Parlamento Europeo ha votato a favore di un regolamento efficace che avrebbe aiutato la lotta al commercio dei minerali dei conflitti, ma gli Stati membri hanno cercato di indebolire la proposta. Non possiamo permettere che questo accada.
Fino ad ora si sono svolti negoziati di alto livello a porte chiuse in cui il regolamento è stato annacquato e reso quasi privo di significato per tutte le persone colpite da questo commercio criminale. Il prossimo incontro si svolgerà martedì 5 aprile ed è giunto il momento di far capire ai negoziatori quali potrebbero essere le reali conseguenze di un regolamento meno incisivo rispetto a quello votato dai rappresentanti eletti in Parlamento europeo.
Milioni di donne, bambini e uomini nel mio Paese, la Repubblica Democratica del Congo, subiscono quotidianamente violenze, stupri e morte nelle zone circostanti le miniere, mentre le imprese non sono obbligate a verificare lungo la catena di approvvigionamento se i propri prodotti contengono minerali dei conflitti. Eppure, l’estrazione e il commercio dei minerali finanziano bande armate e forze militari che commettono gravi violazioni dei diritti umani. Questa spirale di sofferenza e di violenza deve essere interrotta.
Durante la mia visita a Bruxelles in Marzo, dove ho preso parte a un dibattito pubblico, ho trovato molto conforto nell’ascoltare persone che operano nel settore delle imprese desiderose di migliorare le proprie pratiche, consapevoli che il problema non sarebbe stato affrontato senza la pressione importante per l’inserimento della dovuta diligenza nelle catene di approvvigionamento da parte dei consumatori. Se gli Stati membri non saranno d’accordo su una normativa efficace, alle imprese disonorevoli sarà consentito continuare a operare in acque torbide. Proprio un eurodeputato leader dell’area dei conservatori ha affermato che è stato in giro abbastanza a lungo nel mondo degli affari e ha visto troppe “Volkswagen” per non sapere che il valore del controllo interno alle imprese è pari a zero: l’accordo dunque deve essere vincolante.
Con proposte deboli come quella della Commissione europea del marzo 2014, solo un numero limitato di fonderie e raffinerie che importano minerali allo stato grezzo sarebbe incoraggiato a partecipare a un sistema di autocertificazione volontaria. Durante i dibattiti successivi alla proposta della Commissione, quasi 150 vescovi da tutto il mondo si sono uniti per chiedere un regolamento più ambizioso tramite una dichiarazione promossa da CIDSE, alleanza internazionale di organizzazioni cattoliche per lo sviluppo. Per fortuna il Parlamento è stato audace, votando a favore di un regolamento richiedente a tutte le imprese europee che producono o importano componenti e prodotti finali di controllare che le proprie catene di approvvigionamento non alimentino conflitti e non abbiano alla base violazioni di diritti umani.
Gli Stati membri e i leader politici europei devono ora sostenere un requisito di dovuta diligenza obbligatorio per le imprese lungo l’intera catena di approvvigionamento di prodotti che contengono questi minerali. Devono appoggiare quelle regole che sono conformi alle linee guida di due diligence dell’OCSE.
Contemporaneamente, anche le imprese che operano a valle nella fase d’importazione dei metalli devono essere parte di questo processo, in particolare quelle che immettono prodotti contenenti questi minerali sul mercato dell’UE.
È commovente vedere la solidarietà da parte dei cittadini europei che chiedono un’azione più incisiva, come nel caso della nuova petizione online. In assenza di una normativa vincolante ed efficace, i cittadini europei non possono avere la garanzia che i prodotti che essi acquistano e usano quotidianamente siano realizzati senza violare i diritti umani.
I cittadini e vescovi nel mio Paese e nelle zone circostanti i Grandi Laghi sono stati incoraggiati da un’azione incisiva da parte degli Stati Uniti. Uno studio condotto dalla nostra Commissione sulle risorse naturali ha mostrato che il Dodd Frank Act degli Stati Uniti ha stimolato cambiamenti concreti sul campo da parte degli attori economici di tutte le nazionalità verso un approvvigionamento responsabile dei minerali, smentendo le tesi secondo cui questa legge è stata fonte d’impatti negativi.
“Ripulire” il commercio dei minerali deve essere una lotta comune di tutti noi. In Congo abbiamo un proverbio che dice: “Un solo dito non può sbucciare una banana.” In linea con i suoi valori e con il rispetto della dignità umana, l’Unione Europea ha una grande responsabilità nel soddisfare e migliorare gli standard di due diligence a livello mondiale, non abbassarli.
Ascoltiamo il grido di sofferenza e speranza del nostro popolo!
Al link disponibile il testo originale dell’articolo in inglese