Nuovo Report di Land Matrix sull’accaparramento della terra
Di Michele Salvan, giovane volontario FOCSIV
Lo scorso 28 Settembre è stato presentato il III Report Analitico sull’accaparramento di terre, fenomeno meglio noto come Land Grabbing, da parte del partenariato che sostiene LandMatrix, tra cui la International Land Coalition, una rete a livello mondiale che unisce soprattutto realtà accademiche, della società civile e della cooperazione internazionale nel Nord come nel Sud Globale.
Il report per certi versi delinea lo stabilizzarsi del fenomeno negli ultimi 5 anni, dopo anni di rapida crescita post 2008, nonché al contempo il suo diversificarsi, oltre più in generale a confermare alcune tendenze socio-economiche ormai affermatesi a livello mondiale.
Tra il 2000 e il 2021 il fenomeno ha ormai coinvolto oltre 2000 contratti censiti e 33 milioni di ha di grandi acquisizioni o affitti di terra (Large Scale Land Acquisitions, LSLAs) in tutto il Mondo. Il dato resta sottostimato e prudenziale perché si basa solo sugli investimenti di cui vi sono evidenti fonti “incrociate” ed affidabili di conferma. Il fenomeno resta complesso, opaco e spesso sfuggente, seppur con alcuni elementi tanto ricorrenti quanto inquietanti.
Tra questi sicuramente spiccano la scarsa implementazione, l’elevato tasso di abbandono degli investimenti (stimato nel 25% degli interventi totali, oltre il 50% in alcuni sotto-settori dei biocarburanti, per una superficie complessiva coinvolta a seconda delle stime tra 9 e 21 milioni di ha), l’attitudine speculativa, la presenza di hub di investimento e “paradisi fiscali” tra i finanziatori, la sproporzione degli attori in gioco e il generale disinteresse verso un reale coinvolgimento delle comunità locali e la sostenibilità socio-economico-ambientale degli investimenti stessi. Ad esempio solo il 15% dei contratti è veramente accompagnato da un processo decisionale trasparente e dal consenso libero, informato e precedente all’intervento esterno.
Notevoli sono anche gli impatti ambientali. Sul versante dell’impronta idrica ad esempio un terzo degli investimenti totali ha luogo in aree aride, e malgrado ciò circa la metà delle acquisizioni è finalizzata verso colture strettamente irrigue, e il 10% a colture con elevati consumi idrici.
Inoltre buona parte di queste acquisizioni vanno a insistere in ambienti naturali o semi-naturali, con i relativi impatti ambientali legati alla deforestazione e alla perdita di servizi ecosistemici, specie in alcuni “hot spots” di biodiversità (come il Sud Est Asiatico dove riguarda circa il 60% degli investimenti complessivi).
Altra costante è l’interesse verso le flex crops (es. soia, canna da zucchero, mais e palma da olio), l’integrazione in macro filiere internazionali e la suscettibilità alla volatilità dei prezzi internazionali delle commodities agricole.
Occorre sfatare inoltre alcuni miti comuni. Ad esempio che il fenomeno riguardi solo paesi a basso reddito: non a caso un paese strategico dal punto di vista agro-alimentare come l’Argentina, e non certo “povero”, risulta massicciamente coinvolto nel processo con circa 800 “accordi”, 16 milioni di ha accaparrati, di cui quasi la metà destinati a colture non alimentari; fenomeno che ha ulteriormente alimentato disuguaglianze e la già elevata concentrazione fondiaria, nonché il coinvolgimento in bolle speculative.
Quali soluzioni proporre ed opporre dunque a questo monstrum sfuggente?
Sicuramente occorre un generale miglioramento della land governance specie nei paesi dove è più debole o confusa, recependo chiaramente le Linee Guida Volontarie sulle Buone Pratiche Fondiarie (Voluntary Good Tenures, VGGTs), così come resta cruciale sostenere e potenziare monitoraggi efficaci degli interventi di Land Grabbing con piattaforme di società civile e centri di ricerca. E’ altresì non più rimandabile l’inclusione e il monitoraggio del rispetto dei diritti umani in modo obbligatorio e vincolante nei trattati e nelle filiere internazionali; fermare tutte le LSLAs anche solo con potenziali effetti negativi a livello ambientale data l’impellente crisi climatica, nonché elaborare piani di paesaggio complessivi e inclusivi, comprendendo in modo trasparente tutti i i tradeoffs delle LSLAs, supportando le iniziative di monitoraggio indipendente a livello locale.
E’ necessario infine scardinare il paradigma culturale che vede contrapposti i progetti di sviluppo locale e i grandi investimenti esterni di Land Grabbing, in senso deteriore e svilente per i primi, mentre i secondi sono ancora percepiti come occasioni di sviluppo e accelerazione tecnologica, e di cui vi è di rado una valutazione riguardo la reale sostenibilità. Solo un approccio strategico d’intervento basato sulle comunità locali può portare a cambiamenti positivi, durevoli e integrati nel contesto d’intervento, cioè veramente sostenibili, in primis dal punto di vista umano.
Il report di Land Matrix può essere scaricato qui