Riscoprirmi nell’incertezza

Arrivare a Quito, come tutti i nuovi inizi e incontri con nuovi paesi e culture, è stato destabilizzante, ma in una bella forma. Mi sono portata dietro i lunghi e ripetuti saluti, i saluti che non sono riuscita a fare, che mi hanno appesantito un po’ il cuore, ma anche una sensazione di incredulità estrema, impazienza, felicità e gratitudine per essere arrivata fin qui dopo due anni di lunghe attese e sacrifici. E proprio per queste lunghissime attese, le prime settimane sono state parte di un processo di metabolizzazione molto lungo e denso per la scelta presa, in una costante tensione verso l’accettazione del mio qui ed ora e verso l’adattamento alla mia nuova vita.
Atterrare a Quito è stata un’emozione fortissima, un vuoto allo stomaco per tutto l’ignoto che mi aspetta davanti e quella potentissima voglia di scoprire e conoscere tutto ciò che mi circonda. Ci sono stati tantissimi alti e bassi, soprattutto all’inizio, che mi hanno portata a mettere in discussione tutto e ad alimentare incertezze legate alla vita che mi sono lasciata dietro per i prossimi 9 mesi di servizio civile. Ho vissuto una grande sensazione liberatoria quando sono riuscita a lasciare fluire queste incertezze accogliendole come parte della mia nuova quotidianità, sforzandomi di ricordare sempre che grazie a queste incertezze mi metterò alla prova per conoscermi meglio e superare nuovi limiti che mi si presenteranno, esterni ed interni.
Nel primo mese i giorni sono passati lentissimi e allo stesso tempo troppo rapidamente; mi sembra di aver vissuto ogni giorno come se fosse stato un mese… l’intensità legata alle cose viste e vissute e ai legami costruiti pian piano con gli altri volontari ha come alterato la percezione del tempo che passava scandendo tutto con nuovi ritmi, una cosa che mi succede sempre all’inizio di nuove esperienze.
La difficoltà più grande, ad oggi, oltre a dover metabolizzare il distacco da ciò che è stato casa negli ultimi due anni, è legata a vivere nella capitale Quito dovendo fare i conti con una sensazione di insicurezza che rimane più o meno costante. Nonostante mi sia ormai adattata a convivere con questa sensazione, non è stato facile inizialmente rientrare in questa ottica di rimanere sempre vigili a quali strade si percorrono, alla dipendenza da Uber o altri mezzi per gli spostamenti, alla tensione e paura che ad ogni viaggio per il lavoro in bus ti venga rubato qualcosa, alla prima rapina subita con altre due volontarie, allo zaino e alla borsa tagliati nel tentativo (riuscito) di rubare qualcosa. Ma mi ritengo comunque fortunata ad aver alle spalle l’esperienza a Johannesburg, dove ho imparato ad essere molto più consapevole e a decostruire che cosa significa libertà personale in Paesi del Sud Globale rispetto ai nostri contesti privilegiati di provenienza.
Non è mai facile questo tipo di adattamento, anzi richiede un dispendio di energie piuttosto forte legato a questa strana sensazione di costante allerta. Anche questo si supera, non tutti e tutte allo stesso modo, con un po’ di tempo, pazienza, e credo anche una buona dose di fiducia (spesso non ricambiata) nel mondo; io lo sto superando facendo ogni volta che posso un passo in più per non rimanere bloccata dalla paura. Sono qui, per i prossimi mesi, a concedermi e realizzare un sogno che è stato irraggiungibile per due lunghi anni.
Ho lasciato tanto e trovato già tantissimo, e per questo non posso che ringraziare a voce alta ogni volta che realizzo dove sono guardandomi attorno nella mia nuova vita.
Ho lasciato tanto e trovato tantissimo, e per questo non posso che ringraziare a voce alta ogni volta che realizzo dove sono guardandomi attorno nella mia nuova vita.
Rossella Fadda, Casco Bianco FOCSIV a Quito, Ecuador