Un’alba su Sori che descrive la quotidianità

Fonte immagine https://auci.org/
Suona la sveglia alle 6, quando apro gli occhi nel buio del mio letto, nella casetta che condivido con Francesca. Ho ancora molto sonno e resto distesa più del necessario, mentre, decifrando i rumori provenienti dalla cucina, capisco che Francesca sta preparando il caffè. Oggi andiamo a Nairobi per rinnovare il nostro visto. Abbiamo preso un bus in partenza da Sori, il villaggio più vicino alla missione, alle 7. Per la prima volta da quando siamo qui, sbirciamo la vita del villaggio alle prime luci del giorno, anche se l’impressione è che la giornata, per la maggior parte delle persone che incrociamo lungo il tragitto, sia iniziata già da qualche ora.
Lungo la strada vediamo le donne risalire dai sentieri che portano al lago, con grandi catini poggiati sulla testa contenenti stoviglie pulite, probabilmente quelle appena lavate, usate il giorno precedente. I colori accesi dei vestiti e del plasticume pacchiano che portano sul capo contrastano con il paesaggio dai toni pastello. Gruppetti di bambini di età diverse indossano l’uniforme per andare a scuola. Qualcuno porta un quaderno in mano, altri hanno un piccolo zainetto sulle spalle. Il sole fa capolino dietro limpide nuvole a pecorelle, proiettando un gioco di luci che mi ricorda le albe invernali passate in autobus per andare a scuola, a casa mia.

Saliamo sull’autobus che ci porta a Nairobi, uno di quei pullman alti da una cinquantina di posti, uno di quelli per cui ci si litigava i sedili in fondo durante le gite al liceo. I nostri posti anteriori ci permettono di vedere il mondo dai grandi finestroni del bus, e così continuiamo a sbirciare le mattine degli sconosciuti, che incrociano le loro vite con le nostre per sottili attimi, che non bastano nemmeno per il tempo di uno sguardo.
La strada, che ha solo una carreggiata per senso di marcia con guida a destra, sembra un sottile filo di lana appoggiato sopra il verde della campagna. Un ricamo di asfalto scuro che taglia a metà la natura rigogliosa. Ai lati delle carreggiate c’è un sottile bordo di terra tendente al rossiccio, e poi una distesa di verde vivo che si perde solo all’orizzonte, disegnato dalle sagome delle colline che ci circondano.
Poco fuori Sori incrociamo due donne che, camminando sul ciglio della strada, trasportano dell’acqua in lunghi secchi blu, poggiati come di consueto sulla testa. Con un braccio tengono il secchio in equilibrio e, nonostante non diano segni di fatica, per un attimo immagino i muscoli brucianti di un rito mattutino che, nell’immaginario dei miei pensieri, si ripete ogni giorno. I campi coltivati sono popolati da donne, uomini e bambini che, piegati sulla schiena in angoli vertiginosi, raccolgono, ordinano e tagliano.
Un bambino di non più di sei anni corre lungo la strada sbracciandosi, con un sorriso ampio, l’uniforme blu e lo zainetto rosso. Poco più avanti una moto si è fermata, e l’uomo che la guida si volta indietro per vedere quanto manca al bambino per raggiungerlo. Forse è il padre, irritato per l’ennesimo ritardo nel portarlo a scuola. O forse solo un uomo gentile, che offre un passaggio a un bambino sconosciuto. Lo schermo attraverso cui guardo la vita che mi circonda è velato dai filtri del mio passato, del mio contesto socio-culturale, che mi portano a supporre intenzioni, situazioni, scopi.
Magari erano solo una moto ferma e un bambino che correva per la strada, ma mi piace pensare che il mio cervello ci abbia visto un incontro.
Linda Scarpa, Casco Bianco con AUCI a Karungu, Kenya

