Caschi Bianchi a Chimbote: una voce dalla baia

Appena sono scesa dal bus che mi ha portata da Lima a Chimbote, sono stata subito avvolta dall’odore intenso del pesce, dal suono incessante dei clacson e dalle voci dei venditori ambulanti, che per un attimo mi hanno lasciata spaesata. È stato il mio primo contatto con una città complessa, che sto imparando poco a poco a conoscere nelle sue molte sfaccettature.
Chimbote è il principale centro di pesca del Perù: nella baia si affollano centinaia di imbarcazioni e, tutt’intorno alla città, si trovano numerosi stabilimenti industriali per la lavorazione del pesce, insieme a qualche industria siderurgica. Non è difficile immaginare, quindi, la lunga storia di inquinamento e degrado ambientale che segna questo territorio. Ancora oggi, infatti, Chimbote è considerata una delle città più inquinate del Perù e dell’America Latina.
In questo contesto, all’inizio degli anni ’90, alcuni attivisti locali fondarono l’Instituto Natura, l’ONG ambientalista partner locale del mio progetto di servizio civile. In quegli anni, le fabbriche – situate per il 70% in quartieri residenziali – scaricavano direttamente nelle fognature e in mare i resti organici della produzione e contaminavano l’aria con fumi tossici. Non sorprende che in quel periodo fossero comuni malattie respiratorie, problemi alla pelle e persino che l’epidemia di colera del 1991-1993 fosse collegata alle condizioni igienico-sanitarie compromesse dall’inquinamento.
L’obiettivo dell’Instituto Natura era dare voce alla comunità e contrastare un modello industriale che stava seriamente mettendo a rischio la salute delle persone e degli ecosistemi. L’organizzazione promosse campagne di sensibilizzazione, dialogo con le istituzioni e pressione sulle imprese, ottenendo risultati concreti: una decina di fabbriche furono spinte ad adottare tecnologie più pulite, installare sistemi di depurazione e trasferirsi fuori dalle aree abitate. Per questo impegno, la fondatrice María Elena Foronda Farro ricevette nel 2003 il prestigioso Goldman Environmental Prize, considerato una sorta di “Nobel per l’ambiente”.

Nonostante l’instancabile lavoro, le sfide non sono finite. La pesca industriale continua a esercitare enormi pressioni sull’ambiente marino, mentre nuove minacce si aggiungono, come le concessioni petrolifere onshore e offshore nelle regioni del nord del Paese. Durante la mia prima settimana di servizio ho visitato una zona periferica della città dove sorgono vari stabilimenti produttivi. L’odore, fortissimo e pungente, rendeva quasi impossibile respirare, mentre ascoltavo le testimonianze di alcuni residenti che raccontavano come ancora oggi persistano pratiche illegali, come il collegamento clandestino degli scarichi industriali alla rete fognaria domestica, con conseguenze dirette sulle famiglie della zona.
Negli anni, l’Instituto Natura è diventato un punto di riferimento per la cittadinanza attiva. Il suo lavoro non si limita alla denuncia, ma mira a formare cittadini consapevoli e organizzati, in grado di difendere i propri diritti ambientali di fronte a imprese estrattive e istituzioni spesso assenti o indifferenti. Da parte mia, sono pronta a osservare e imparare, scoprendo come le grandi questioni globali – crisi climatica, inquinamento, energia – si intreccino con la vita quotidiana delle persone che resistono e si organizzano per difendere il proprio futuro.
Chiara Latella, Casco Bianco a Chimbote, Perù con AUCI.