Ancora troppo scarsi gli sforzi per contrastare la deforestazione e proteggere i difensori dell’ambiente

Nel corso degli ultimi 17 anni non è cambiato nulla. Nonostante gli sforzi dei governi del mondo, gli annunci, gli impegni delle associazioni ambientaliste, il tasso di deforestazione permanente nel mondo, soprattutto legato al commercio di merci, è rimasto inalterato dal 2001 fino ad ora.
Ad riportare questo dato drammatico è un studio diffuso dal Global Forest Watch e Science Magazine basato su osservazioni della Terra via satellite.
Dopo aver elaborato i dati, gli esperti hanno rivelato alcune tra le principali cause che hanno portato alla drastica riduzione delle foreste nel mondo, le zone maggiormente colpite e le zone dove si è verificata una “deforestazione permanente”. Gli scienziati suggeriscono però che per fortuna, in alcune foreste che hanno subito perdite e cambiamenti drammatici, c’è ancora speranza di una ricrescita e di un ripopolamento boschivo.
Secondo gli esperti, uno dei problemi maggiori nella lotta alla deforestazione, è che le politiche di “deforestation-zero” non sono state attuate abbastanza velocemente per raggiungere gli obiettivi prefissati per il 2020.
Il problema principale rimane infatti, come ad esempio in Amazzonia o in Africa, quello relativo alla deforestazione legata al commercio: il 27% della perdita globale delle foreste può essere attribuita alle merci e ai danni creati per poterle commerciare. La deforestazione, come in Costa d’Avorio per le fave di cacao o in Sudamerica per l’industria della carta e per le coltivazioni di soia, se perpetuata nel tempo “altera permanente un paesaggio”. Così come possono modificarlo la successiva agricoltura intensiva o l’estrazione mineraria. Altri fattori nella perdita di alberi sono legate alla “caccia alle risorse minerarie”, ma anche al disboscamento controllato o quello legato a incendi boschivi.
Il tasso di deforestazione guidato dalle materie prime, circa 5 milioni di ettari all’anno, è rimasto stabile per 15 anni. Altri fattori di perdita sono stati attribuiti alla selvicoltura (26%), agli incendi boschivi (23%) e all’urbanizzazione (0,6%).
Un altro esempio dei danni da deforestazione è poi apparso in questi giorni in un articolo a firma di Doug Boucher che con altri autori nel 2013 aveva tracciato la situazione nell’Amazzonia brasiliana. Spiega che negli ultimi 5 anni, rispetto alle sue prime analisi, sostanzialmente “nulla è cambiato”.
“Durante la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000 il tasso di deforestazione nell’Amazzonia brasiliana era in media di circa 20.000 chilometri quadrati all’anno, spinto dalla rapida espansione dei pascoli e dell’industria della soia commerciale. Poi, a partire dal 2005, ha iniziato a calare rapidamente, calando del 70% in appena una mezza dozzina di anni”. Ma da allora “non c’è più stato alcun cambiamento netto”. Secondo il ricercatore le cause sono spesso connesse alla politica locale e a fattori economici. Il fatto che il tasso sia rimasto invariato e che non funzionino le politiche di “deforestazione zero” è un “grave fallimento in termini di effetti sui cambiamenti climatici”.
Sempre più spesso i difensori dei diritti umani e gli attivisti per la giustizia ambientale che si oppongono allo sfruttamento della loro terra e delle risorse naturali subiscono minacce e attentati. Dal 2009 ad oggi, il numero dei difensori della terra assassinati ogni settimana è aumentato da 1 a 4.
I difensori dell’ambiente hanno bisogno di protezione per esempio dando loro visibilità mediatica internazionale, rendendoli meno vulnerabili agli attacchi di soggetti locali. L’Environmental Justice Atlas è un progetto che raccoglie informazioni sui conflitti ambientali spesso invisibili che si svolgono in tutto il mondo. Sono stati mappati 2500 conflitti ambientali e l’Atlante mostra un chiaro legame tra l’incremento dell’estrazione e del commercio di minerali e l’aumento dei conflitti.
Quando l’atlante online ha pubblicato il caso di una minoranza albanese in Montenegro che si è opposta alla creazione di una nuova discarica in uno dei suoi siti storici, i media locali ed europei hanno rimbalzato la notizia e alla fine si è ottenuto il rilascio di un leader comunitario illegalmente detenuto.
Riconoscere e combattere le discriminazioni ambientali è una delle priorità del progetto #MakeEuropeSustainableforAll, di cui Focsiv ed Engim sono parte.
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