CASO “MISSION”: SIAMO SICURI CHE IL PROBLEMA SIA NEL FORMAT?
Il reality sui campi profughi in programma sulla RAI per il prossimo autunno ha infiammato il dibattito tra gli operatori della cooperazione: FOCSIV si esprime sul rischio che il reality banalizzi i temi internazionali e rafforzi gli stereotipi, a partire dalla sua quarantennale esperienza nel Continente Africano.
Più che il sole d’Agosto, nelle scorse settimane, è stato il dibattito sul reality che la RAI, in collaborazione con UNHCR ed Intersos, sta preparando per arrivare in autunno nelle nostre case, a tenere calda l’atmosfera fra gli operatori della Cooperazione Internazionale. Apparentemente alcuni “VIP” dello spettacolo vivranno e racconteranno la loro esperienza di alcuni giorni in un campo profughi africano per avvicinare il vasto pubblico italiano a queste problematiche.
Al di là del comprensibile disappunto di addetti ai lavori, che da anni vivono in prima persona al fianco di profughi e vittime di guerre, conflitti e carestie, e si sente “banalizzato” da chi racconta e tira le conclusioni da una fugace esperienza, ci sembra opportuno esprimere alcune opinioni, partendo dalla nostra quarantennale esperienza di condivisione con popoli e persone del Continente Africano.
Non ci sentiamo di esprimere una opinione sul contenuto e format del programma che conosciamo solo “per sentito dire”. La RAI assicura il massimo rispetto “della dignità delle persone, dei rifugiati e della sensibilità dell’opinione pubblica”. Certo sarebbe veramente opportuno ed utile che creasse un momento di condivisione della Puntata Zero, già predisposta, con i rappresentanti delle ONG Italiane e gli operatori del settore per raccogliere idee, suggerimenti e fugare le polemiche.
Siamo tutti coscienti dell’importanza dei riflettori delle TV sui problemi dimenticati. Chi nell’84 si trovava in un campo etiope dove arrivavano costantemente persone disperate alla ricerca di cibo, ignorati dal Mondo, sa bene come le telecamere della BBC abbiano cambiato radicalmente la situazione nel giro di pochi giorni.
Ci sembra però opportuno evidenziare alcune perplessità-riflessioni.
Perché la scelta di 3 Paesi Africani (Sudan, Congo, Mali) e non invece quella dei profughi Siriani o del Pakistan che ospita il maggior numero di rifugiati o di altre vittime di conflitti in altre parti del Mondo? Per anni abbiamo presentato l’immagine di un’Africa disperata, funzionale ad aprire i portafogli, promuovendo lo stereotipo di interi popoli capaci solo di farsi guerra e di elemosinare aiuti. L’Africa che noi conosciamo non è questa, non lo è mai stata, ed oggi lo è meno che mai. Perché allora continuare a promuovere questo stereotipo? E’ evidente che guerre, carestie e campi profughi continuano ad esserci in Africa (come le mense della Caritas continuano ad esserci in Italia), ma l’Africa oggi è ben altro. Perché continuare ad ignorare che 21 fra i 50 Paesi con il più alto tasso di crescita del PIL nel 2012 sono in Africa? Oggi gli Africani ci chiedono un rapporto paritetico e rispettoso, ed un cambio di mentalità che stentiamo ad accettare.
I campi profughi sono la manifestazione evidente di problematiche più profonde, ramificate e complesse. Un approccio che mirasse a promuovere la compassione per le sofferenze dei profughi ignorando le cause non farebbe un servizio agli stessi, alla verità ed alla possibilità concreta di agire, a livello internazionale, sui problemi reali. Se è comprensibile che la comunicazione ha bisogno di semplificazioni, i temi internazionali non possono e non debbono essere banalizzati.
Occorre evitare di costruire un abbinamento diretto fra il tema dei profughi ed i fenomeni migratori. Le migrazioni, anche quelle che interessano il nostro Paese, sono un fenomeno più complesso ed articolato, di cui i profughi rappresentano solamente una parte. Anche in Africa ci sono fenomeni migratori importanti, fra i diversi Paesi ed in larga parte collegati a fattori economici e sociali, solo in piccola percentuale con le guerre e le calamità. Indurre lo spettatore medio a correlare i campi profughi con gli sbarchi a Lampedusa serve a perpetrare l’idea delle migrazioni come fardello da sopportare piuttosto che diritto da riconoscere oltre che come risorsa di cui il nostro Paese si sta avvantaggiando.
La scelta dei personaggi coinvolti non è irrilevante, la credibilità del programma passa anche dalla credibilità delle persone. Ci sono persone del mondo dello spettacolo che da anni si impegnano al fianco degli operatori, e continuano a farlo, nella quotidianità, lontano dai riflettori, non entrano in un ruolo ma vivono una scelta.
Evidentemente ci aspettiamo che il servizio pubblico non diventi “appannaggio di qualcuno”. Sarebbe deludente se il tutto si rivelasse come una “furbata” per aumentare gli introiti di un particolare attore fra i tanti che su questo problema operano giornalmente e con passione. Deludente se si ricorresse di nuovo al metodo della commozione facile collegata ad un numero di SMS “solidale”.
Infine ci sembra importante notare come questo dibattito mostri anche l’urgenza per le ONG e le associazioni che si occupano di Cooperazione e Solidarietà Internazionale, di dotarsi di un codice di condotta per auto-regolamentare le modalità di comunicazione, come hanno già fatto le aggregazioni di altri Paesi Europei.