Il diritto di dire no: imparare dalle lotte globali

di Andrea Stocchiero – FOCSIV
FOCSIV è uno dei promotori della campagna Diamoci una regolata! Dal non profit nasce la campagna Impresa2030 – FOCSIV e della campagna CIDSE La Campagna di CIDSE “Accesso alla giustizia” per le vittime di abusi aziendali – FOCSIV. Da alcuni anni segue il processo per investimenti e commerci di minerali che rispettino i diritti umani e della natura. L’Unione Europea ha adottato infatti un regolamento sui “minerali dei conflitti”. Tale regolamento impone alle imprese di tracciare il commercio dei minerali. Lo scopo è innanzitutto individuare rischi di mancato rispetto dei diritti da parte dei fornitori, e porre rimedio a questi rischi. In questo percorso di dovuta diligenza delle imprese si è in attesa della proposta di una nuova direttiva da parte della Commissione Europea.
In questo quadro FOCSIV con Cidse ha partecipato a un incontro del Forum Sociale Tematico sull’estrazione mineraria e l’economia estrattiva sul “Diritto di dire no”. Di seguito sono riassunte le principali conclusioni.
Affrontare gli impatti distruttivi delle miniere
In tutto il mondo, le imprese si impegnano nell’estrazione mineraria su larga scala in nome della crescita economica e del progresso. L’Europa mantiene un ruolo dominante come consumatore e importatore di materie prime. Tra gli impatti di queste attività ci sono il degrado ambientale, la contaminazione dell’acqua, del suolo e dell’aria, le violazioni dei diritti umani e le divisioni delle comunità. Esistono molti accordi commerciali per proteggere gli investimenti delle imprese straniere. Ciò che non esiste invece è uno strumento vincolante per i diritti umani, che garantisca coloro che sono colpiti da attività minerarie pericolose. I tentativi delle comunità di chiedere conto alle imprese responsabili hanno provocato minacce, repressione, violenza e persino morti. Il 2020 che è stato l’anno con il più alto numero di omicidi di difensori dei diritti umani.
Il diritto di dire NO
“Right to Say No” (Diritto di dire no) è il diritto delle comunità di dichiarare zone no-mining, decidere cioè riguardo al loro ambiente e ai loro territori. I relatori dell’incontro hanno presentato casi di studio dall’Europa, dall’America Latina, dall’Asia e dall’Africa. Qui le comunità hanno agito con successo per fermare i progetti minerari o la loro espansione. I quattro casi si collegano a un quadro più ampio di lotte nazionali, regionali e internazionali. Protagoniste sono le comunità locali e indigene, impegnate a riconquistare la sovranità, il controllo e la gestione delle loro terre e risorse naturali.
Lotte delle comunità per riconquistare la sovranità della terra
L’estrazione mineraria ha le caratteristiche di un’impresa coloniale. Anche in questo caso infatti abusa delle risorse naturali e delle persone per soddisfare il modello consumistico e capitalistico nei paesi sviluppati. Farai Maguwu del Centre for Natural Resource Governance (CNRG) in Zimbabwe, e Aung Ja, un sostenitore dei diritti umani dalla Birmania, hanno evidenziato come le autorità statali e locali corrotte collaborano con le corporazioni transnazionali di paesi come Australia, Cina e Regno Unito. Queste alleanze vanno contro gli interessi della loro stessa gente.
In Zimbabwe, le operazioni minerarie hanno luogo senza il consenso e la consultazione delle comunità locali. Per sfrattare le persone dalle proprie case sono utilizzate repressione, violenza e intimidazione. Con l’empowerment della comunità, la ricerca legale e la documentazione di questi incidenti, gli abitanti sono riusciti a esercitare il loro “diritto di dire no” e a fare pressione sugli attori politici, costringendoli ad ascoltare le loro richieste e ad agire.
Il ruolo delle donne nel fornire alternative alle operazioni minerarie
In Birmania, le donne hanno assunto un ruolo di primo piano nel “Dire No” alle attività minerarie distruttive. Hanno così contribuito allo sviluppo di nuove opzioni economiche e stili di vita ecologici alternativi. Attraverso campagne comunitarie, azioni pubbliche e mediatiche, boicottaggio diretto e occupazione di spazi, la comunità locale ha ottenuto il sostegno internazionale e ha sollevato la questione delle miniere illegali. In Brasile, Karina Martins, del Movimento per la Sovranità Popolare nelle Miniere, ha parlato dell’esperienza politica di resistenza dei “Territori liberi dalle miniere”. Essi promuovono nuove alternative economiche come l’agricoltura su piccola scala, la pesca e l’ecoturismo. Queste alternative possono garantire reddito e lavoro, sicurezza alimentare, conservazione della socio-biodiversità e dei beni comuni per le generazioni future. Le comunità devono superare le differenze linguistiche, etniche e religiose e unirsi come un unico movimento attivo e solidale.
Sfidare i nostri sistemi politici ed economici dominanti
Dall’Inghilterra, Hannibal Rohades, della Fondazione Gaia e di Yes to Life No to Mining Global Solidarity Network, ha evidenziato le vie per avanzare il “diritto di dire no” alle operazioni minerarie in Europa. Esse comprendono alternative come i referendum (Trun, Bulgaria), il coinvolgimento delle aziende (Selkie, Finlandia) e “Dichiarare il diritto della natura” (Greencastle, Inghilterra). Secondo Hannibal, al momento domina una visione a breve termine e strumentale della natura come un insieme di merci morte da raccogliere per un bene maggiore. Tale visione tuttavia si scontra con la visione olistica e a lungo termine della natura che considera i legami culturali e spirituali di un territorio.
Chiedendo un cambiamento sistematico
L’intero settore minerario deve subire un radicale cambiamento per prevenire danni alla comunità e ulteriori disastri ambientali. Le leggi dovrebbero essere implementate in modo efficace e significativo. Dovrebbero regolare, limitare e proibire le operazioni minerarie illegali. La società civile deve esercitare il proprio potere, monitorare e denunciare gli abusi aziendali e la distruzione ambientale. Internet e i social media possono essere strumenti potenti per sollevare il tema del Diritto di Dire No. Tramite essi si possono creare reti e alleanze per fare pressione sugli attori politici e sui governi. È responsabilità delle autorità nazionali, degli attori internazionali e delle istituzioni religiose riconoscere e affrontare lo sfruttamento aziendale e le sue implicazioni. Questo è il momento di agire insieme in solidarietà con la nostra famiglia umana e di proteggere la nostra casa comune.