Le 3T della legislazione europea sui minerali dei conflitti: tiepida, tardiva e titubante
E’ stato finalmente approvato, dopo 6 anni di negoziati, il regolamento europeo che mira a porre fine al finanziamento di gruppi armati e alle violazioni dei diritti umani collegate al commercio di minerali provenienti da zone di conflitto. Questa normativa sui “minerali dei conflitti” obbliga tutti gli importatori europei di stagno, tungsteno, tantalio e oro, esclusi i più piccoli, a effettuare controlli per garantire che gli obblighi di responsabilità – così come definiti dalle linee guida OCSE, che ricordiamo esser volontarie – siano rispettati dai propri fornitori. Inoltre sono esclusi dal regolamento i piccoli importatori e i materiali riciclati.
Il regolamento si applica a tutte le zone del mondo colpite da conflitti e ad alto rischio, tra le quali la Repubblica Democratica del Congo e la regione dei Grandi Laghi sono gli esempi più lampanti (basti pensare che circa il 98% dell’oro estratto nella DRC è esportato illegalmente, e che più della metà delle miniere nella regione sono controllate da gruppi armati). A un gruppo di esperti è delegata la redazione di un elenco non esaustivo delle zone.
Dunque l’applicazione, ben lungi dal coprire l’intera filiera, si limita solo ai soggetti a monte della stessa, “upstream” (fonderie, raffinerie, importatori di minerali e metalli grezzi), ma non per quelli quelli a valle, “downstream”, come ad esempio i rivenditori di prodotti finiti (GSM, tablet, macchine, etc…). Un significativo – e determinante ai fini dell’efficacia delle norme – passo indietro rispetto all’originaria proposta del Parlamento che chiedeva obbligatorietà per tutta la filiera.
Le autorità degli Stati membri dovranno assicurarsi che le aziende rispettino queste norme. Il regolamento stabilisce che i vigenti sistemi nazionali di controllo del settore saranno utilizzati al fine di evitare doppi oneri, e sottoposti a regolari controlli da parte per PE, per assicurare standard coerenti con le linee guida dell’Ocse.
L’entrata in vigore del regolamento è prevista nel 2021, si dice per dare tempo agli Stati membri di nominare le autorità competenti e agli importatori di acquisire familiarità con i loro nuovi obblighi.
L’impressione è che in realtà il testo finale abbia ceduto molto, troppo, all’opposizione di quanti premevano per la non obbligatorietà, e che alla fine si sia strappata un’obbligatorietà molto limitata (sia per soggetti coinvolti, sia per minerali contemplati), posticipata, con una pesante ipoteca sull’efficacia delle misure previste e con l’assenza di previsioni di stringenti meccanismi di controllo sull’ implementazione, né di sanzioni . Tant’è che già si prevede che la Commissione potrebbe dover proporre misure obbligatorie complementari qualora l’applicazione della due diligence da parte delle imprese si dovesse rivelare insoddisfacente. Come dire: so di aver messo in piedi un sistema che fa acqua in più punti e mi preparo ad asciugare.