LUANA E I SUOI AMICI ROM. L’IMPEGNO DEL SOCIO MOCI A COSENZA CONTRO LA DISCRIMINAZIONE
Tre campi rom in uno, cresciuti a dismisura dal 2007 ad oggi, popolati da famiglie che hanno lasciato il nord ovest della Romania in cerca di condizioni di vita migliori. Un concentrato di periferie esistenziali delimitato dai margini del fiume Crati che attraversa la città di Cosenza, senza servizi igienici e luce elettrica, solo con quattro fontane d’acqua installate nel 2011 di cui oggi solo due funzionano.
E’ il campo di Veglio Lise, che ospita circa 700 persone, di cui 200 sono bambini, ignorato per troppo tempo dalle istituzioni e rifiutato dalla popolazione.
Un piccolo mondo che tutti i giorni fa i conti con emarginazione, povertà e razzismo, ma anche con la dedizione e l’amicizia dei volontari dell’ong Moci socio della Focsiv, della Caritas diocesana di Cosenza e di diverse associazioni del territorio. Nel campo, da circa due anni, anche quattro suore piccole sorelle di Gesù di Charles de Foucolt che portano la testimonianza della vita cristiana condivisa.
“Una coltre di fumo nero, visibile da tutta la città di Cosenza, martedì 3 giugno ha avvolto il campo. Un fuoco, partito probabilmente in modo accidentale da una baracca, ha lasciato 250 persone senza un tetto. Fortunatamente l’incendio non ha provocato vittime. Solo alcuni feriti, e nontroppo gravi” spiega Gianfranco Sangermano, coordinatore a Cosenza dell’ong Moci, nelle emergenze braccio operativo della Caritas diocesana dentro il campo rom.
“Intorno alle 13 quando sono arrivata l’aria era irrespirabile – racconta Luana Ammendola, volontaria del Moci, coordinatrice del settore immigrazione -. Sembrava veleno. A venirmi incontro sono stati i bambini appena tornati da scuola. Li conosco tutti molto bene perché dal 2010 come Moci abbiamo iniziato un servizio di scolarizzazione per i piccoli del campo. Piangevano tutti. Anche io sotto gli occhiali da sole ho pianto con loro”.
La maggior parte la prima notte dopo l’incendio è rimasta a dormine nel campo a respirare quell’aria avvelenata, con altre due donne incinte che dovrebbero partorire tra una settimana e diversi neonati di pochi mesi.
“Prima di essere tutti i luoghi comuni sulle comunità rom, sono persone” grida l’arcivescovo di Cosenza Salvatore Nunnari che nei giorni successivi all’incendio ha servito anche personalmente pranzo e cena agli sfollati del campo con il supporto dell’associazione Madonna del Rosario di Mendicino.
“Superare le resistenze cultuali e trovare soluzioni condivise, a partire dalla centralità della persona, nella legalità, è quello che chiediamo alla popolazione e alle istituzioni” spiega don Enzo Gabrieli, responsabile per le emergenze della Caritas diocesana di Cosenza e direttore dell’Ufficio comunicazioni sociali dell’arcidiocesi calabrese.
“Purtroppo la macchina istituzionale non funziona – denuncia Gianfranco – e la gente scende nelle piazze e nelle strade per protestare ogni volta che si individua un’area per la costruzione di alloggi che invece garantirebbero servizi igienici, sanitari e di vita più dignitosi”.
Laura Malandrino
(una versione ridotta dello stesso articolo è stata pubblicata su Avvenire del 14 giugno 2014, pg.8)
Per approfondimenti sulla Chiesa e i rom:
Discorso di Papa Francesco del 5 giugno 2014