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Home News riservate SERVIZIO CIVILE - Caschi bianchi contro le vendette: conferenza di chiusura del progetto sperimentale di Servizio civile nazionale

SERVIZIO CIVILE – Caschi bianchi contro le vendette: conferenza di chiusura del progetto sperimentale di Servizio civile nazionale

admin
30 Ottobre 2012
News riservate

Si è tenuta venerdì 19 ottobre 2012, la conferenza di chiusura del progetto sperimentale di Servizio civile nazionale nell’ambito di Difesa Civile Non Armata e Nonviolenta (DCNAN) che ha visto per la prima volta impegnate insieme la Comunità Papa Giovanni XXIII, Caritas Italiana e Focsiv volontari nel mondo.

 

 

 

Il progetto, che ha coinvolto sei volontari ed ha riguardato 60 famiglie vittime delle emissioni di vendetta, si è svolto nelle periferie rurali della città di Scutari e in altri villaggi di montagna dell’Albania del nord. Il suo obiettivo principale è stato quello di intervenire sui conflitti derivanti dalla vendetta di sangue (gjakmarrja) costruendo “strumenti ed occasioni di riconciliazione”. Questo fenomeno, regolato da un antico codice medievale (Kanun),  in caso di omicidio derivante dalla lite tra due uomini, autorizzava la famiglia della vittima ad emettere vendetta nei confronti dei maschi della famiglia dell’assassino causando così la reclusione in casa di questi ultimi. Inoltre, oggi la gjakmarrja è ancora più pesante, non rispetta più le regole del Kanun e sono vittime di queste vendette anche donne, minorenni e uomini di fede.

La vendetta di sangue è particolarmente diffusa nella zona settentrionale dell’Albania, caratterizzata da difficoltà di comunicazioni, carenze nel sistema sanitario e scolastico e povertà. Dall’inizio di quest’anno ha causato 20 omicidi, ma sia lo Stato, sia i media albanesi tendono a minimizzarne la gravità.

 

La conferenza ha valorizzato i successi di questa sperimentazione attraverso il racconto delle esperienze dei  sei giovani in servizio civile volontario.

La relazione e lo spirito cooperativo sono state le chiavi fondamentali del progetto. I volontari hanno frequentato quasi quotidianamente le famiglie portando cibo e medicine. Il passo successivo è stato quello di organizzare delle attività di gruppo per giovani (attività ludiche e teatrali), per donne (costruzione di uno spazio di dialogo e comprensione per sviluppare il loro senso di autodeterminazione) e uomini (giornate riguardanti l’orticultura e le serre) volte a migliorare la loro qualità della vita. Si è poi operato sul piano della sensibilizzazione (realizzazione di calendari e brochure, organizzazione di flashmob, percorsi nelle scuole, campi estivi a cui hanno partecipato oltre 250 ragazzi, di cui 25 in autoreclusione) con lo scopo di far prendere coscienza del fenomeno alle persone coinvolte, dal momento che solo dalla conoscenza può nascere la trasformazione.

 

I risultati sono stati di rilievo. I volontari ci parlano della sensazione di aver messo in movimento un cambiamento che può essere sintetizzato con il termine di liberazione “dall’emarginazione sociale, dalla povertà estrema, dall’indifferenza della società, dalla violenza”. Possiamo prenderne a simbolo due episodi: un ragazzo in autoreclusione ha chiesto in TV alle istituzioni di intervenire in questa situazione e Skhurte ha coinvolto il marito in un azione di richiesta di intervento presso l’Associazione nazionale albanese dei riconciliatori tradizionali  ed ha partecipato ad un sit-in per richiedere una casa popolare.

 

Questo progetto sperimentale, all’interno della generale avanguardia del modello di servizio civile italiano, rafforza ulteriormente l’efficacia del metodo con cui operano i Caschi Bianchi e si pone, inoltre, come laboratorio per operare in altre realtà di conflitto.

Questo è ciò che sottolinea anche il Cons. De Cicco (Direttore ufficio per il Servizio Civile Nazionale) che ne auspica, dopo una sistematizzazione metodologia, una applicazione alle realtà italiane, ed in particolar modo alle tematiche legate alla camorra, mafia e ‘ndrangheta.

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