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Home Storie di volontari Sono gli occhi a parlare

Sono gli occhi a parlare

Lucia - Ufficio Volontariato
10 Settembre 2025
Storie di volontari

Sono Alessia e ho 25 anni. Sto svolgendo il mio anno di Servizio Civile Universale a Fier, in Albania. Tante sono le emozioni che sto vivendo da quasi cinque mesi ad oggi. Sensazioni difficili da descrivere e raccontare. Perciò preferisco portarvi in viaggio con me, per qualche ora raccontata in una pagina di diario di un mio giorno quotidiano a Fier. 

Prima però una piccola introduzione. A Fier siamo in quattro Caschi Bianchi: Daniel, Federica, Sara e io. Stiamo svolgendo un progetto che ha alla base l’obiettivo di integrazione di soggetti fragili. Forniamo supporto a bambini/e Rom (di seguito chiamati in albanese fëmijië, in quanto termine comprensivo sia di maschi che femmine) che abitano principalmente a Drize, il villaggio con concertazione più alta di Rom di Fier. Aiutiamo le fëmijië nel processo di alfabetizzazione in una scuola nelle vicinanze, nel villaggio di Zhupan. Parte del progetto è fare supporto presso il Qendra Horizont (centro per il recupero e l’integrazione di giovani con disabilità) , in cui una volta a settimana interagiamo con bambini/e con disabilità.

In questa mia giornata racconto una mattina a Zhupan, affiancando le fëmijië Rom:

Una nuova mattina inizia a Fier. Daniel, Federica, Sara e io usciamo di casa. Scendiamo a passo spedito incamminandoci verso il QTU (il centro commerciale), dove saliamo sul furgone con l’autista Krenar. Di fronte a noi il mercato inizia a prendere vita; si sentono versi di animali da allevamento. In questo periodo ci sono tanti tacchini, in quanto in Albania durante le festività natalizie è tradizione mangiarli in famiglia. 

Krenar, arriva con il solito furgone blu, con i vetri oscurati; l’ultimo finestrino sulla destra ha però un cerchio trasparente, da cui Elisjon qualche giorno fa, partendo da Zhupan per tornare a casa a Drize, mi mandava dei baci. Krenar ci saluta sempre con un sorriso seguito dalla solita interazione che si ha in albanese al mattino, ovvero “mirëmëngjes, si je?” (Buongiorno, come stai?) Cerchiamo di avviare una conversazione fatta di tanti gesti e ripetizioni di parole. Ma piano piano riusciamo a capirci sempre di più.

Le fëmijië Rom che vengono a Zhupan sono tant*, perciò dobbiamo passare due volte per Drize. Durante il primo viaggio il punto di incontro è tra dei binari di una ferrovia, non funzionante. Alla destra c’è una casa, con divani sul balcone e porte aperte. Al suo esterno, ogni giorno è vissuta da persone diverse. Recentemente, sono seduti intorno al fuoco acceso per scaldarsi. Una donna ci saluta, facendo un piccolo balletto e alzando le mani. Eppure, ha gli occhi così stanchi e gonfi.

Salgono le fëmijië. Melisa, una bimba dolcissima, si mette dietro il mio sedile e mi tiene la mano. La seconda domanda che mi chiede sempre è “sot klasa ime?” (quale sarà la mia lezione oggi?) Nel mentre Rafaela ruba un bacio sulla guancia a Federica. Un bacio che ha il sapore di caffè. Rafaela ha 9 anni, occhi grandi, profondi e dei capelli lunghissimi.

Proseguiamo per raggiungere la scuola a Zhupan. Mi piace tanto la luce che c’è al mattino. Musica albanese ma anche spagnola ci accompagna. Cani randagi per le strade; sempre molti e disorientati. Dal finestrino entra la solita aria pesante di petrolio. Ebbene sì, l’odore di petrolio è molto forte, in quanto vi sono parecchie aziende che traggono vantaggio dai terreni particolarmente ricchi a Fier. Le fëmijië del primo giro scendono, indirizzandosi ai piccoli bar dentro la scuola.

Ripartiamo a prendere le restanti. Durante il secondo viaggio, Natalia, una ragazza di 13 anni con un piercing al naso e capelli neri lunghissimi, mi parla in francese. Mi sussurra “tu est très belle!” (sei molto bella!) Arrivati a scuola alle 07:35, scendiamo e stiamo nel cortile a chiacchierare e giochicchiare con le fëmijië.

Come di routine, prima di entrare sono tutti in fila per classe; oggi però, dato che è lunedì, cantano l’inno nazionale. Una maestra suona la campana che tiene tra le mani ed entro in classe. Oggi sono in 3°A, la classe che abbiamo seguito fin dall’inizio con la maestra Alma. Mi siedo, sempre all’ultima fila seduta tra due banchi. Alla sinistra ho Korina, una bambina che viene a scuola da poco, con occhi così grandi. Non sa l’alfabeto e nemmeno i numeri. Parla poco albanese. Le scrivo il suo nome e mi guarda stupita. Nel mentre mi tiene la mano e si appoggia sulla mia spalla. Eppure, nonostante non riusciamo a capirci, nel momento in cui la guardo nei suoi occhi così profondi, mi sembra di capire così tanto. Scrivo le lettere in rosso sul quadernetto, e le fëmijië ricopiano piano piano. Ergi sta iniziando a scrivere in corsivo.

È l’ora della pushim (pausa). Vado a prendere con Federica un byrek (tortino) da Alda, una ragazza che lavora ad uno dei due baretti. Quattro ragazzi di 14 anni stanno giocando a carte, atteggiandosi come adulti ma bevendo fanta. Mentre mangio gioco con una bambina dal sorriso tenero, ma con una vita da donna. Con la voce sottile, mi racconta che quando lei è a scuola la sorella non c’è perché si alternano a fare l’elemosina. Continuiamo a giocare. Ci fermiamo, e ci guardiamo negli occhi. Un muro scende, la vedo.

In lontananza il “gruppo dei più grandi” (13-14 anni) mi manda i baci. Si avvicinano, ridono e scherzano tra di loro ed Elisjon mi traduce in tedesco ciò che dicono. Lo parla perché è andato qualche anno in Germania. Nel mentre Athina corre da me e mi porta a giocare con un ulivo. In Albania è pieno di ulivi; è un simbolo di radici profonde, resilienza e continuità. Giochiamo insieme, e ci sediamo sulla panchina. Mi tiene le mani e ci guardiamo. Vedo il mio riflesso nei suoi occhi.

Rientriamo in classe e continuiamo con la mattinata. Rafaeli ed Emili mi scarabocchiano segni sulle braccia. Nel mentre si impegnano a fare ciò, sento le loro mani calde avvinghiate alle mie. E quando finiscono restano fermi così, in un silenzio carico di significato. È stato l’amore, dopotutto, la chiave che ha aperto ogni porta, che ha costruito ponti. Una cosa tanto semplice da pronunciare, ma incredibilmente complessa da vivere e da comprendere.

Alma inizia a chiedere alla classe cosa amassero fare o cosa avrebbero voluto fare in futuro. Molti bambini rispondono “giocare a calcio” (soprattutto diventare come Ronaldo). Ergi, 8 anni, che spesso canta e durante l’estate si esibisce con i fratelli e il papà ai matrimoni, pensavo avrebbe menzionato proprio questo. E invece disse che cantare non gli piaceva più, perché ormai lo considerava un lavoro. Eppure, c’è qualcosa di magico che accade quando la musica riempie il loro spazio. Sembra dissolvere il peso del mondo, come se fermasse il tempo. Si crea un cerchio invisibile, un rifugio dove la solitudine non esiste. E in quel cerchio, mi scopro non solo spettatrice, ma parte integrante, in cui il tempo sembra quasi un’illusione.

Alessia Rossi, Casco Bianco con ENGIM a Fier, Albania.

Tags: #Albania #educazione #Engim
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