“Trasparenza, Inclusività e Sostenibilità”
3 cose che le banche pubbliche di sviluppo riunite da domani al summit Finance in Common non devono dimenticare
Roma, 18 ottobre 2021 – Una coalizione di organizzazioni della società civile, tra cui la FOCSIV, chiede alle banche pubbliche di sviluppo – riunite da domani a Roma in occasione del summit Finance in Common – di investire in progetti che promuovano ecosistemi sani, di sostenere i mezzi di sussistenza delle popolazioni locali e di proteggere i diritti umani e ambientali, e le persone che difendono questi diritti.
Il 19-20 ottobre, più di 500 banche pubbliche di sviluppo si riuniranno per la seconda edizione del summit Finance in Common, che si svolgerà in parte a Roma e in parte online. L’evento, organizzato da Cassa Depositi e Prestiti (CDP) e dal Fondo Internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD), fa parte delle attività della presidenza italiana del G20 e si inserisce nel contesto della COP26 sul cambiamento climatico.
In vista del vertice, una coalizione di organizzazioni della società civile sta chiedendo alle banche pubbliche di sviluppo di cambiare il paradigma secondo cui operano, affinché sia basato sui diritti umani, sullo sviluppo guidato dalle comunità locali e sui principi della giustizia sociale e climatica.
Alla comunità delle istituzioni finanziarie per lo sviluppo che si riunisce per discutere come distribuire le risorse per la realizzazione dell’Agenda 2030, per contrastare il cambiamento climatico e preservare la biodiversità, le organizzazioni della società civile chiedono un’azione decisamente più ambiziosa, e consultazioni più trasparenti e inclusive in tutte le fasi del processo decisionale legato alla pianificazione, esecuzione e valutazione dei progetti di sviluppo.
Mentre la crisi climatica si aggrava, gli incendi divampano nelle foreste di tutto il mondo, le inondazioni lasciano migliaia di persone senza casa e la siccità distrugge i mezzi di sussistenza di milioni di contadine e contadini, in molti luoghi, la situazione per le comunità in prima linea va di male in peggio. Le disuguaglianze sono in aumento. Il numero di persone vulnerabili sta crescendo drammaticamente, anche a causa degli effetti della crisi del Covid. Molto spesso, le comunità locali non hanno voce in capitolo nei progetti di sviluppo, e quando protestano e cercano di far valere i loro diritti, si trovano molte volte a fronteggiare gravi rischi. L’anno scorso, secondo un rapporto di Global Witness, ha visto il più alto numero di donne e uomini che si battono in difesa dei diritti umani e dell’ambiente assassinati in tutto il mondo.
Servirebbe sviluppare strategie più incisive per far fronte alla chiusura degli spazi di dialogo con le società civili, e per prevenire e contrastare i rischi e le sfide per le comunità locali che difendono l’ambiente e i propri diritti. Le banche pubbliche di sviluppo possono diventare nostre alleate proteggendo e promuovendo il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile, delle persone che difendono i diritti umani e delle comunità in prima linea per la giustizia sociale e ambientale. Politiche di tolleranza zero contro minacce e rappresaglie da parte delle banche pubbliche di sviluppo, dei loro clienti e dei loro partner, dovrebbero essere un requisito fondamentale.
La discussione di quest’anno al summit Finance in Common si concentrerà sul tema dell’agricoltura e dell’agribusiness. Nonostante l’obiettivo dichiarato sia quello di “fare leva sulle banche pubbliche di sviluppo per ottenere una trasformazione verde e inclusiva dei sistemi alimentari”, numerosi gruppi della società civile temono che queste parole possano suonare vuote se gli interessi commerciali vengono messi al primo posto (si veda il comunicato successivo a questo, di seguito, firmato anche da CIDSE e FOCSIV). Le banche pubbliche di sviluppo hanno la responsabilità di servire gli interessi delle persone e del pianeta, e non devono piegarsi agli interessi delle imprese private e delle grandi multinazionali.
Le banche pubbliche di sviluppo non dovrebbero finanziare progetti di sviluppo che hanno un impatto negativo sulle vite e i mezzi di sostentamento di agricoltori, pescatori, pastori e altre comunità. Dovrebbero invece sostenere le soluzioni proposte dai piccoli produttori di cibo, dalle comunità indigene e dalla società civile, che si basano sui diritti umani, sullo sviluppo guidato dalle comunità e sui principi della giustizia climatica.
Le politiche e i progetti promossi dalle banche pubbliche di sviluppo possono accelerare o rallentare la perdita di biodiversità e il degrado ambientale. Pertanto, le banche pubbliche di sviluppo dovrebbero rafforzare liste di esclusione per proibire finanziamenti dannosi, diretti e indiretti, che impattano ulteriormente su ecosistemi già fragili.
Con il G20 e la COP26 proprio dietro l’angolo, il summit di Finance in Common può essere un’opportunità per impegnarsi nell’uso responsabile delle risorse e per creare nuove sinergie, non solo tra gli attori finanziari, ma anche con coloro che dovrebbero essere i testimoni ultimi del fatto che queste risorse siano investite nel modo più efficace: i rappresentanti della società civile e le comunità locali.
Le banche pubbliche di sviluppo dovrebbero anche sviluppare approcci coordinati per assicurare che le attività che sostengono non finiscano per esacerbare il peso del debito, o contribuire a tagli nella spesa pubblica che avranno un impatto negativo sui diritti umani, sulla capacità dei governi di rispondere al cambiamento climatico, o sull’accesso ai servizi essenziali per i più vulnerabili.
Nel mondo interdipendente di oggi, con crisi multiple che colpiscono tutto il pianeta, le banche pubbliche di sviluppo potrebbero giocare un ruolo cruciale, ma dovranno prendere decisioni coraggiose e dimostrare una forte leadership per farlo. La coalizione di Finance in Common può essere uno spazio in cui un percorso ambizioso viene stabilito collettivamente dalle banche. Questo richiederà un dialogo significativamente rafforzato e continuo con una vasta gamma di rappresentanti della società civile a tutti i livelli – locale, nazionale e internazionale – poiché il mondo che costruiremo domani dipenderà dalla nostra capacità di includere oggi le persone in questo processo.
Contatti stampa
Lorena Cotza (Comms lead, Coalition for human rights in development) – lcotza@rightsindevelopment.org +39/3285761056
Le banche di sviluppo non possono finanziare l’agroalimentare
Più di 450 banche pubbliche di sviluppo (PDB) di tutto il mondo si riuniranno a Roma dal 19 al 20 ottobre 2021 per un secondo summit internazionale, chiamato Finance in Common. Durante il primo vertice a Parigi nel 2020, più di 80 organizzazioni della società civile hanno pubblicato una dichiarazione congiunta chiedendo che le PDB smettano di finanziare aziende e progetti di agribusiness che tolgono terra e risorse naturali alle comunità locali. Quest’anno, tuttavia, le PPB hanno fatto dell’agricoltura e dell’agribusiness la priorità del loro secondo vertice. Questo è motivo di grave preoccupazione permolte organizzazioni della società civile, poiché le PPB hanno una lunga storia di investimenti in agricoltura che vanno a beneficio degli interessi privati e delle corporazioni dell’agribusiness a spese di agricoltori, pastori, pescatori, lavoratori del settore alimentare e popoli indigeni, minando la loro sovranità alimentare, gli ecosistemi e i diritti umani.
Le nostre preoccupazioni
Le PDB sono istituzioni pubbliche create da governi nazionali o agenzie multilaterali per finanziare programmi governativi e aziende private le cui attività si dice contribuiscano al miglioramento della vita delle persone nei luoghi in cui operano, in particolare nel Sud del mondo. Molte banche di sviluppo multilaterali, che costituiscono un sottogruppo significativo di PDB, forniscono anche consulenza tecnica e politica ai governi per cambiare le loro leggi e politiche per attrarre investimenti stranieri.
Come istituzioni pubbliche, le PDB sono tenute a rispettare, proteggere e adempiere ai diritti umani e si suppone che debbano rendere conto al pubblico delle loro azioni. Oggi, le banche per lo sviluppo spendono collettivamente più di 2 trilioni di dollari all’anno per finanziare aziende pubbliche e private per costruire strade, centrali elettriche, fattorie, piantagioni agro-alimentari e altro in nome dello “sviluppo” – si stima che 1,4 trilioni di dollari vadano nel solo settore agricolo e alimentare. Il loro finanziamento delle aziende private, sia attraverso prestiti o acquisto di azioni, si suppone sia fatto per ottenere profitti, ma è importante sottolineare che gran parte della loro spesa è sostenuta e finanziata dal pubblico – dal lavoro e dalle tasse della gente.
Il numero di PDB e i finanziamenti che ricevono stanno crescendo. La portata di queste banche sta crescendo anche perché stanno sempre più incanalando i fondi pubblici attraverso il private equity, la “finanza verde” e altri schemi finanziari, invece del più tradizionale sostegno ai programmi governativi o ai progetti no-profit. Il denaro di una banca di sviluppo fornisce una sorta di garanzia per le aziende che si espandono nei cosiddetti paesi o industrie ad alto rischio. Queste garanzie permettono alle aziende di raccogliere più fondi da prestatori privati o da altre banche di sviluppo, spesso a tassi favorevoli. Le banche di sviluppo giocano quindi un ruolo critico nel permettere alle multinazionali di espandersi ulteriormente in mercati e territori in tutto il mondo – dalle miniere d’oro in Armenia, alle controverse dighe idroelettriche in Colombia, ai disastrosi progetti di gas naturale in Mozambico – in modi che non potrebbero fare altrimenti.
Inoltre, molte banche di sviluppo multilaterali lavorano per plasmare esplicitamente leggi e politiche a livello nazionale attraverso la loro consulenza tecnica ai governi e sistemi di classificazione come l’Enabling the Business of Agriculture della Banca Mondiale. Le politiche che sostengono in settori chiave – tra cui salute, acqua, istruzione, energia, sicurezza alimentare e agricoltura – tendono a promuovere il ruolo delle grandi corporazioni e delle élite. E quando le comunità locali interessate, compresi i popoli indigeni e i piccoli agricoltori, protestano, spesso non vengono ascoltati o subiscono rappresaglie. Per esempio, in India, la Banca Mondiale ha consigliato al governo di deregolamentare il sistema di marketing agricolo, e quando il governo ha attuato questo consiglio, senza consultare gli agricoltori e le loro organizzazioni, sono nate e diffuse proteste di massa.
Le banche pubbliche di sviluppo sostengono che investono solo in aziende “sostenibili” e “responsabili”, e che il loro coinvolgimento migliora il comportamento delle aziende. Ma queste banche hanno una pesante eredità di investimenti in aziende coinvolte in accaparramento di terre, corruzione, violenza, distruzione ambientale e altre gravi violazioni dei diritti umani, dalle quali sono sfuggite a qualsiasi responsabilità significativa. La crescente dipendenza delle banche di sviluppo da fondi di private equity offshore e da complesse reti di investimento, compresi i cosiddetti intermediari finanziari, per incanalare i loro investimenti, rende la responsabilità ancora più elusiva e permette a una piccola e potente élite finanziaria di catturare i benefici.
È allarmante che le banche pubbliche di sviluppo stiano assumendo un ruolo più coordinato e centrale quando si tratta di cibo e agricoltura. Sono una parte dell’architettura finanziaria globale che sta guidando l’espropriazione e la distruzione ecologica, molta della quale è causata dall’agribusiness. Nel corso degli anni, i loro investimenti in agricoltura sono andati quasi esclusivamente a compagnie impegnate in piantagioni monocolturali, schemi di coltivazione a contratto, allevamenti di animali, vendita di semi e pesticidi ibridi e geneticamente modificati, e piattaforme di agricoltura digitale dominate da Big Tech. Hanno mostrato zero interesse o capacità di investire nelle comunità di agricoltori, pescatori e foreste che attualmente producono la maggior parte del cibo del mondo. Invece, stanno finanziando gli accaparratori di terre e gli agribusiness aziendali e distruggendo i sistemi alimentari locali.
Esempi dolorosi
Seguono alcuni esempi importanti del modello in cui vediamo impegnate le banche pubbliche di sviluppo:
- La Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo e la Banca Europea per gli Investimenti hanno fornito generosi finanziamenti alle compagnie agroalimentari di alcuni dei più ricchi oligarchi ucraini, che controllano centinaia di migliaia di ettari di terra.
- La SOCFIN del Lussemburgo e la SIAT del Belgio, i due più grandi proprietari di palme da olio e piantagioni di gomma in Africa, hanno ricevuto numerosi prestiti finanziari dalle banche di sviluppo, nonostante le loro filiali siano impantanate nell’accaparramento delle terre, negli scandali di corruzione e nelle violazioni dei diritti umani.
- Molteplici banche di sviluppo (tra cui Swedfund, BIO, FMO e DEG) hanno finanziato la piantagione di canna da zucchero fallita di Addax Bioenergy in Sierra Leone, che ha lasciato una scia di devastazione per le comunità locali dopo l’uscita della compagnia.
- Il CDC Group del Regno Unito e altre banche di sviluppo europee (tra cui BIO, DEG, FMO e Proparco) hanno versato oltre 150 milioni di dollari nelle piantagioni di palma da olio della Feronia Inc, ora in bancarotta, nella Repubblica Democratica del Congo, nonostante i conflitti di lunga data con le comunità locali sulla terra e le condizioni di lavoro, le accuse di corruzione e le gravi violazioni dei diritti umani contro gli abitanti.
- Il Common Fund for Commodities delle Nazioni Unite ha investito in Agilis Partners, una società di proprietà degli Stati Uniti, che è coinvolta nello sfratto violento di migliaia di abitanti di un villaggio in Uganda per finanziare una fattoria di grano su larga scala.
- Norfund e Finnfund possiedono Green Resources, una compagnia forestale norvegese che pianta pini in Uganda su terreni sottratti a migliaia di contadini locali, con effetti devastanti sui loro mezzi di sussistenza.
- La Japan Bank for International Cooperation e l’African Development Bank hanno investito in un progetto di infrastrutture ferroviarie e portuali per permettere alla giapponese Mitsui e alla brasiliana Vale di esportare carbone dalle loro miniere nel nord del Mozambico. Il progetto, collegato al controverso progetto agroalimentare ProSavana, ha portato all’accaparramento di terre, a trasferimenti forzati, a incidenti mortali e alla detenzione e tortura di oppositori al progetto.
- La China Development Bank ha finanziato la ecologicamente e socialmente disastrosa diga Gibe III in Etiopia. Progettata per la generazione di elettricità e per irrigare piantagioni di zucchero, cotone e olio di palma su larga scala, come il gigantesco Kuraz Sugar Development Project, ha interrotto il flusso del fiume su cui le popolazioni indigene della bassa valle dell’Omo contavano per l’agricoltura di ritiro dalle inondazioni.
- In Nicaragua, FMO e Finnfund hanno finanziato MLR Forestal, un’azienda che gestisce piantagioni di cacao e tek, controllata da interessi di estrazione dell’oro responsabili dello sfollamento di comunità afrodiscendenti e indigene e del degrado ambientale.
- L’International Finance Corporation e l’Inter-American Development Bank Invest hanno recentemente approvato prestiti a Pronaca, la quarta più grande società dell’Ecuador, per espandere la produzione intensiva di maiali e pollame nonostante l’opposizione di gruppi internazionali ed ecuadoriani, comprese le comunità indigene locali, le cui acque e terre sono state inquinate dalle estese operazioni della società.
- L’Inter-American Development Bank Invest sta considerando un nuovo prestito di 43 milioni di dollari per Marfrig Global Foods, la seconda più grande azienda di carne bovina del mondo, con la scusa di promuovere la “carne bovina sostenibile”. Numerosi rapporti hanno trovato la catena di approvvigionamento di Marfrig direttamente collegata alla deforestazione illegale in Amazzonia e Cerrado e alle violazioni dei diritti umani. L’azienda ha anche affrontato accuse di corruzione. Una campagna globale sta ora chiedendo alle PDB di disinvestire immediatamente da tutte le operazioni di allevamento industriale.
Abbiamo bisogno di meccanismi migliori per costruire la sovranità alimentare
I governi e le agenzie multilaterali stanno finalmente iniziando a riconoscere che l’attuale sistema alimentare globale non è riuscito ad affrontare la fame ed è un fattore chiave di molteplici crisi, dalle pandemie al collasso della biodiversità all’emergenza climatica. Ma non stanno facendo nulla per sfidare le corporazioni che dominano il sistema alimentare industriale e il suo modello di produzione, commercio e consumo. Al contrario, stanno spingendo per più investimenti corporativi, più partnership pubblico-privato e più elemosine all’agribusiness.
Il vertice di quest’anno delle banche di sviluppo è stato deliberatamente scelto per seguire il vertice delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari. È stato pubblicizzato come un forum globale per trovare soluzioni ai problemi che affliggono il sistema alimentare globale, ma è stato dirottato dagli interessi aziendali ed è diventato poco più di uno spazio per il greenwashing aziendale e la messa in mostra dell’agricoltura industriale. L’evento è stato protestato e boicottato dai movimenti sociali e dalla società civile, anche attraverso il Global People´s Summit e la risposta dei Popoli Autonomi al Food Systems Summit delle Nazioni Unite, così come dagli accademici di tutto il mondo.
Il summit di Finance in Common, con il suo focus su agricoltura e agribusiness, seguirà lo stesso copione. I finanzieri che controllano i nostri fondi e mandati pubblici si riuniranno con le élite e i rappresentanti delle imprese per fare strategie su come mantenere il flusso di denaro in un modello di cibo e agricoltura che sta portando al collasso del clima, aumentando la povertà e aggravando tutte le forme di malnutrizione. Pochi, se non nessuno, dei rappresentanti delle comunità colpite dagli investimenti delle banche di sviluppo, persone che sono in prima linea a cercare di produrre cibo per le loro comunità, saranno invitati o ascoltati. Le PDB non sono interessate. Cercano di finanziare l’agribusiness, che produce materie prime per il commercio e schemi finanziari per i profitti piuttosto che cibo per la nutrizione.
L’anno scorso, una grande coalizione di organizzazioni della società civile ha fatto uno sforzo enorme solo per far sì che le banche di sviluppo accettassero di impegnarsi in un approccio ai diritti umani e allo sviluppo guidato dalle comunità. Il risultato è stato solo una debole retorica nella dichiarazione finale, che non è stata tradotta in azione.
Non vogliamo più che il nostro denaro pubblico, i nostri mandati pubblici e le nostre risorse pubbliche siano sprecati per imprese agro-alimentari che sottraggono terra, risorse naturali e mezzi di sussistenza alle comunità locali. Pertanto:
- Chiediamo la fine immediata del finanziamento delle operazioni dell’agribusiness aziendale e degli investimenti speculativi da parte delle banche pubbliche di sviluppo.
- Chiediamo la creazione di meccanismi di finanziamento completamente pubblici e responsabili che sostengano gli sforzi dei popoli per costruire la sovranità alimentare, realizzare il diritto umano al cibo, proteggere e ripristinare gli ecosistemi, e affrontare l’emergenza climatica.
- Chiediamo l’implementazione di meccanismi forti ed efficaci che forniscano alle comunità l’accesso alla giustizia in caso di impatti negativi sui diritti umani o danni sociali e ambientali causati dagli investimenti delle PDB.
Development banks have no business financing agribusiness
Over 450 Public Development Banks (PDBs) from around the world are gathering in Rome from 19 to 20 October 2021 for a second international summit, dubbed Finance in Common. During the first summit in Paris in 2020, over 80 civil-society organizations published a joint statement demanding that the PDBs stop funding agribusiness companies and projects that take land and natural resources away from local communities. This year, however, PDBs have made agriculture and agribusiness the priority of their second summit. This is of serious concern for the undersigned groups as PDBs have a long track-record of making investments in agriculture that benefit private interests and agribusiness corporations at the expense of farmers, herders, fishers, food workers and Indigenous Peoples, undermining their food sovereignty, ecosystems and human rights.
Our concerns
PDBs are public institutions established by national governments or multilateral agencies to finance government programs and private companies whose activities are said to contribute to the improvement of people’s lives in the places where they operate, particularly in the Global South. Many multilateral development banks, a significant sub-group of PDBs, also provide technical and policy advice to governments to change their laws and policies to attract foreign investment.
As public institutions, PDBs are bound to respect, protect and fulfil human rights and are supposed to be accountable to the public for their actions. Today, development banks collectively spend over US$2 trillion a year financing public and private companies to build roads, power plants, factory farms, agribusiness plantations and more in the name of “development” – an estimated US$1.4 trillion goes into the sole agriculture and food sector. Their financing of private companies, whether through debt or the purchase of shares, is supposed to be done for a profit, but much of their spending is backed and financed by the public – by people’s labor and taxes.
The number of PDBs and the funding they receive is growing.The reach of these banks is also growing as they are increasingly channeling public funds through private equity, “green finance” and other financial schemes to deliver the intended solutions instead of more traditional support to government programs or non-profit projects. Money from a development bank provides a sort of guarantee for companies expanding into so-called high-risk countries or industries. These guarantees enable companies to raise more funds from private lenders or other development banks, often at favorable rates. Development banks thus play a critical role in enabling multinational corporations to expand further into markets and territories around the world – from gold mines in Armenia, to controversial hydroelectric dams in Colombia, to disastrous natural gas projects in Mozambique – in ways they could not do otherwise.
Additionally, many multilateral development banks work to explicitly shape national level law and policy through their technical advice to governments and ranking systems such as the Enabling the Business of Agriculture of the World Bank. The policies they support in key sectors — including health, water, education, energy, food security and agriculture — tend to advance the role of big corporations and elites. And when affected local communities, including Indigenous Peoples and small farmers protest, they are often not heard or face reprisals. For example, in India, the World Bank advised the government to deregulate the agricultural marketing system, and when the government implemented this advice without consulting with farmers and their organisations, it led to massive protests.
Public Development Banks claim that they only invest in “sustainable” and “responsible” companies and that their involvement improves corporate behavior. But these banks have a heavy legacy of investing in companies involved in land grabbing, corruption, violence, environmental destruction and other severe human rights violations, from which they have escaped any meaningful accountability. The increasing reliance of development banks on offshore private equity funds and complex investment webs, including so called financial intermediaries, to channel their investments makes accountability even more evasive and enables a small and powerful financial elite to capture the benefits.
It is alarming that Public Development Banks are now taking on more of a coordinated and central role when it comes to food and agriculture. They are a part of the global financial architecture that is driving dispossession and ecological destruction, much of which is caused by agribusiness. Over the years, their investment in agriculture has almost exclusively gone to companies engaged in monoculture plantations, contract growing schemes, animal factory farms, sales of hybrid and genetically modified seeds and pesticides, and digital agriculture platforms dominated by Big Tech. They have shown zero interest in or capacity to invest in the farm, fisher and forest communities that currently produce the majority of the world’s food. Instead, they are bankrolling land grabbers and corporate agribusinesses and destroying local food systems.
Painful examples
Important examples of the pattern we see Public Development Banks engaging in:
- The European Bank for Reconstruction and Development and the European Investment Bank have provided generous financing to the agribusiness companies of some of Ukraine’s richest oligarchs, who control hundreds of thousands of hectares of land.
- SOCFIN of Luxembourg and SIAT of Belgium, the two largest oil palm and rubber plantation owners in Africa, have received numerous financial loans from development banks, despite their subsidiaries being mired in land grabbing, corruption scandals and human rights violations.
- Multiple development banks (including Swedfund, BIO, FMO and the DEG) financed the failed sugarcane plantation of Addax Bioenergy in Sierra Leone that has left a trail of devastation for local communities after the company’s exit.
- The UK’s CDC Group and other European development banks (including BIO, DEG, FMO and Proparco) poured over $150 million into the now bankrupt Feronia Inc’s oil palm plantations in the DR Congo, despite long-standing conflicts with local communities over land and working conditions, allegations of corruption and serious human rights violations against villagers.
- The United Nations’ Common Fund for Commodities invested in Agilis Partners, a US-owned company, which is involved in the violent eviction of thousands of villagers in Uganda for a large-scale grain farm.
- Norfund and Finnfund own Green Resources, a Norwegian forestry company planting pine trees in Uganda on land taken from thousands of local farmers, with devastating effects on their livelihoods.
- The Japan Bank for International Cooperation and the African Development Bank invested in a railway and port infrastructure project to enable Mitsui of Japan and Vale of Brazil to export coal from their mining operations in northern Mozambique. The project, connected to the controversial ProSavana agribusiness project, has led to land grabbing, forced relocations, fatal accidents and the detention and torture of project opponents.
- The China Development Bank financed the ecologically and socially disastrous Gibe III dam in Ethiopia. Designed for electricity generation and to irrigate large-scale sugar, cotton and palm oil plantations such as the gargantuan Kuraz Sugar Development Project, it has cut off the river flow that the indigenous people of the Lower Omo Valley relied on for flood retreat agriculture.
- In Nicaragua, FMO and Finnfund financed MLR Forestal, a company managing cocoa and teak plantations, which is controlled by gold mining interests responsible for displacement of Afro-descendant and Indigenous communities and environmental degradation.
- The International Finance Corporation and the Inter-American Development Bank Invest have recently approved loans to Pronaca, Ecuador’s 4th largest corporation, to expand intensive pig and poultry production despite opposition from international and Ecuadorian groups, including local indigenous communities whose water and lands have been polluted by the company’s expansive operations.
- The Inter-American Development Bank Invest is considering a new $43 million loan for Marfrig Global Foods, the world’s 2nd largest beef company, under the guise of promoting “sustainable beef.” Numerous reports have found Marfrig’s supply chain directly linked to illegal deforestation in the Amazon and Cerrado and human rights violations. The company has also faced corruption charges. A global campaign is now calling for PDBs to immediately divest from all industrial livestock operations.
We need better mechanisms to build food sovereignty
Governments and multilateral agencies are finally beginning to acknowledge that today’s global food system has failed to address hunger and is a key driver of multiple crises, from pandemics to biodiversity collapse to the climate emergency. But they are doing nothing to challenge the corporations who dominate the industrial food system and its model of production, trade and consumption. To the contrary, they are pushing for more corporate investment, more public private partnerships and more handouts to agribusiness.
This year’s summit of the development banks was deliberately chosen to follow on the heels of the UN Food Systems Summit. It was advertised as a global forum to find solutions to problems afflicting the global food system but was hijacked by corporate interests and became little more than a space for corporate greenwashing and showcasing industrial agriculture. The event was protested and boycotted by social movements and civil society, including through the Global People´s Summit and the Autonomous People´s response to the UN Food Systems Summit, as well as by academics from across the world.
The Finance in Common summit, with its focus on agriculture and agribusiness, will follow the same script. Financiers overseeing our public funds and mandates will gather with elites and corporate representatives to strategize on how to keep the money flowing into a model of food and agriculture that is leading to climate breakdown, increasing poverty and exacerbating all forms of malnutrition. Few if any representatives from the communities affected by the investments of the development banks, people who are on the frontlines trying to produce food for their communities, will be invited in or listened to. PDBs are not interested. They seek to fund agribusinesses, which produce commodities for trade and financial schemes for profits rather than food for nutrition.
Last year, a large coalition of civil-society organizations made a huge effort just to get the development banks to agree to commit to a human rights approach and community-led development. The result was only some limited language in the final declaration, which has not been translated into action.
We do not want any more of our public money, public mandates and public resources to be wasted on agribusiness companies that take land, natural resources and livelihoods away from local communities. Therefore:
We call for an immediate end to the financing of corporate agribusiness operations and speculative investments by public development banks.
We call for the creation of fully public and accountable funding mechanisms that support peoples’ efforts to build food sovereignty, realize the human right to food, protect and restore ecosystems, and address the climate emergency.
We call for the implementation of strong and effective mechanisms that provide communities with access to justice in case of adverse human rights impacts or social and environmental damages caused by PDB investments.