Che valore ha la condivisione?
“I’m learning with you” è la frase che più mi è rimasta impressa da quando, ormai qualche settimana fa, ho iniziato a dipingere l’infinito muro di mattoni che separa la Shalom Clinic dalla Shalom School. Mr Phiri, l’insegnante della classe speciale per ragazzi non vedenti, è stato il primo a voler prendere parte alla realizzazione del progetto e l’ha fatto con la sua solita umiltà e gentilezza. Un giorno, mentre ero nel bel mezzo dell’”imbiancamento” con i ragazzi della classe speciale, è arrivato con la sua camicia e i pantaloni eleganti, mi ha salutato, ha preso un rullo e ha iniziato a dipingere. Dal discutere sul contenuto del disegno, a chi avrebbe partecipato alla realizzazione, al passare tra le classi per chiedere disegni e rendere partecipi i ragazzi…ci siamo ritrovati ad aver iniziato i lavori.
Ricordo l’adrenalina seguita dalla frustrazione delle prime volte che sono entrata nelle classi della scuola secondaria a chiedere un contributo per il murales. “Ragazzi cos’è la disabilità secondo voi?”…nessuna risposta! “Cos’è l’inclusione?”…niente! “Ragazzi questo muro è vostro, non voglio dipingerci quello che secondo me sono disabilità ed inclusione, perché sarebbe sbagliato”, “Cosa vi viene in mente quando dico -disabilità-?”. Una timida voce dice: “La sedia a rotelle!” Ecco questo è stato l’inizio. Dopo ciò ho riflettuto per qualche giorno, mi sono consultata e ho pensato a come procedere.
Qualche giorno dopo sono tornata in classe e ci ho riprovato. Ho portato un nuovo sorriso, ho lasciato fuori le aspettative e quello che non avevo raccolto nei giorni precedenti. Il risultato è stato una processione di teenager con un foglio in mano fuori dalla porta dell’ufficio. Questa volta volevano dire la loro. Sono seguiti giorni e giorni di “bianco” in cui piano piano il muro ha preso forma. I ragazzi della classe speciale e del programma Skills mi hanno accompagnata dalla prima all’ultima candida pennellata.
Qualcuno mi ha vista per strada e mi ha urlato da lontano: “PAINTING! WHEN?” Ho potuto conoscere un po’ la personalità e attitudine di questa quindicina di ragazzi attraverso i loro gesti, ridendo assieme del nulla, perché di base la maggior parte di loro non parla inglese, ma solo nyanja. Given è seria e posata, una gran lavoratrice. Frank è precisissimo e instancabile, ma anche testa dura. A Peter piace mettere la musica mentre lavora e prendersela con calma. Chrispine non vede l’ora di finire… ”Madame, I’ve finished!”, ”Martina, no Madame!”…”Martina I’ve finished!”. Christopher a fine mattinata ha più pittura addosso che non quella che ha trasferito sul muro. Richard con il suo sorriso colora già il bianco che lo circonda.
Finito il capitolo del bianco durato più di due settimane inizio a disegnare il murales vero e proprio e un caldo pomeriggio di ottobre mi applico e inizio a dipingere. Tra la paura di sbagliare, i bambini che mi interrompono e il rumore di sottofondo non riesco proprio a concentrarmi. Anche questa volta un incontro mi cambia la prospettiva: è l’insegnante di arte che mi dice: “Goditi ogni singolo gesto, fonditi con il muro e lascia qualcosa di te”.
Martina Baldus, Casco Bianco a Lusaka, Zambia con L’Africa Chiama