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Home News News Landgrabbing La questione dell'estrattivismo in Perù

La questione dell’estrattivismo in Perù

Segreteria
3 Settembre 2025
News, News Landgrabbing

Fonte immagine Perú: ya no más extractivismo | Biodiversidad en América Latina

Ufficio Policy Focsiv – Nel quadro dell’attenzione che Focsiv dedica al tema del land grabbing e dei diritti delle comunità locali (Land Grabbing e Agroecologia – Focsiv), abbiamo il piacere di ospitare qui un articolo scritto da Alessandra Innocenti, corpo civile di pace in Perù. I corpi civili di pace (Home – Dipartimento per le Politiche Giovanili e il Servizio Civile Universale) sono giovani che desiderano dedicare un anno della loro vita al servizio delle comunità impoverite e soggette di conflitti, tra cui quelli ambientali, come nel caso dei conflitti sul land grabbing che Alessandra, corpi civili di Pace, del progetto COPE “Sostegno alle popolazioni indigene del Perù nella gestione e prevenzione dei conflitti ambientali – 2025” segue in Perù.

“Arrivo in Perù il 9 maggio, in ufficio pochi giorni dopo. Svolgerò il mio servizio con Red Muqui, il partner locale del progetto, una rete di organizzazioni che accompagna le comunità in condizioni di vulnerabilità all’interno di contesti estrattivi. Ci siamo cautamente informati prima di arrivare, ma il benvenuto che ci troviamo dinanzi ci fa quasi tentennare. Infatti giusto un mese fa è stata approvata la Legge Apci 32301, che amplia notevolmente le competenze e prerogative dell’Agenzia Peruviana per la Cooperazione Internazionale (In Perù una legge contro le ONG – Focsiv). In particolare, la legge stabilisce che le ONG non possano accompagnare, assistere o finanziare azioni legali contro lo Stato. Inoltre sono previste sanzioni particolarmente severe in caso i finanziamenti internazionali ricevuti dalle Organizzazioni Non Governative vengano utilizzati, secondo l’APCI, in maniera impropria. Questa nuova norma mina le azioni portate avanti dalle ONG sul territorio, quanto la libertà di stampa. Infatti anche i giornali d’inchiesta e i quotidiani, prima di riportare notizie o svolgere indagini, dovranno richiedere l’approvazione dell’Agenzia, senza la quale rischiano una multa di oltre 700.000 dollari.

Lo scenario appena tratteggiato è quello di un vero e proprio campo minato. Infatti il finanziamento internazionale è ciò che permette alle ONG di operare sul territorio. A maggior ragione se operano in contesti estrattivisti, caratterizzati da un’assenza assordante dello Stato. Le imprese che intendono aprire gli scavi hanno a disposizione vastissime sezioni di territorio dato in concessione per decenni, contenute nel registro del REINFO che proprio questo dicembre dovrebbe addirittura venire ampliato. Si tratta di aree che comprendono risorse naturali vitali, luoghi sacri e anche insediamenti umani. In questo caso gli abitanti vengono forzati a spostarsi o esposti ai danni da inquinamento che la vicinanza con una miniera provoca. In particolare le imprese necessitano di operare nei pressi delle sorgenti dei fiumi, in modo da avere a disposizione molta acqua da utilizzare nella lavorazione delle materie prime. Questo significa che spesso interi corsi d’acqua vengono contaminati, se non nel corso dei lavori stessi per via delle piogge che trasportano i depositi di materiali di scarto a valle. Non molti sanno che i metalli pesanti, a differenza di altre sostanze nocive all’uomo, non sono così facili da isolare e depurare. Motivo per cui sono frequenti i casi di improvvise malattie che hanno colpito la popolazione, nei pressi di progetti estrattivi. L’acqua penetra nel terreno e contamina la vegetazione e gli animali, le risorse chiave dell’economia locale e della vita stessa degli abitanti.

Ed è qui che nasce un conflitto ambientale, dal momento che il governo attuale non sembra voler fare passi indietro nella concessione dello sfruttamento delle terre. Anzi, intende investire soprattutto nel settore estrattivo, che storicamente è quello che ha portato più capitale straniero nelle casse dello Stato. Ma poi è veramente così? Alcuni dei membri di Muqui come varie altre ricerche divulgate pubblicamente, accademiche e non, riportano come il settore sia in decadimento e non si giustifichi in termini di ritorno economico per lo Stato. Una delle leve sulle quali si dovrebbe spingere è quella che chiamiamo appunto valorizzazione economica a livello locale, portata avanti da volontari e ricercatori da anni. In sostanza è utile fare un paragone tra quelle che sarebbero le entrate portate dai progetti estrattivi in un dato luogo e quanto invece si andrebbe a perdere in termini di altre risorse economiche che potrebbero essere valorizzate. Alcune regioni sono famose per le loro produzioni di frutta e verdura, per consumo interno ed esportazione. Queste verrebbero fortemente minate dalla presenza di una miniera nell’area, mentre continuando ad operare assicurerebbero un rendimento in crescita.

Oltretutto, è importante in questo caso cambiare lente: l’estrattivismo è l’esempio lampante della famosa definizione di “maledizione delle risorse naturali”, perché porta beneficio magari alla multinazionale e all’entità statale ma non alle comunità locali, che anzi vedono stravolti i propri stili di vita e tradizioni, come anche minacciata la propria stessa esistenza. In questo senso sarebbe invece più proficuo investire su progetti locali i cui proventi siano anzitutto destinati alla popolazione locale.

D’altra parte ancora si crede che la risposta al cambiamento climatico e l’alternativa alle economie di sfruttamento delle risorse del suolo sia la famosa transizione energetica. Un concetto problematico, che può avere senso se si abita nel Nord globale e si è dipendenti dalle materie critiche che vengono ad oggi estratte soprattutto al Sud. In questo senso si cerca di sfuggire ad una logica estrattivista riproponendone però il modello e le esternalità negative altrove (focsiv.it/laccaparramento-della-natura-da-parte-della-transizione-verde-pt-1/).

Questo gigantesco nodo di incertezza e circoli viziosi si inserisce in un quadro governativo che tende inoltre a: favorire le grandi imprese agro-esportatrici (Ley Chimlar), sottrarre grandi aree alle zone protette per poterle vendere in futuro (Ley Nazca), non voler riconoscere il fenomeno della MAPE (miniera artigianale di piccola scala). Il governo continua a mettere a disposizione permessi e risorse tramite cui questa continui ad espandersi, e infine concede l’amnistia alle dure repressioni portate avanti da agenti di polizia e dalle forze armate nel corso di proteste pacifiche. Infatti la violenza dilaga, sotto forma di narrativa dominante che si impone dall’alto e giustifica qualunque azione che appiattisca il panorama, svuotandolo della volontà popolare.

Ritrovarsi in questo contesto è una sfida e un regalo, perché riconosco che vedere da vicino quanto sta accadendo mi rende più percettiva e attenta. Un conto sarebbe stato informarsi a distanza, con una patina di miglia aeree e di convinzioni impacchettate già pronte sulla scrivania. Invece stando qui, certe dinamiche non si possono ignorare. Come anche non ci si può esimere dal riflettere, dal mettere in moto la testa, dal volere un qualcosa di diverso per il futuro.”

Tags: #landgrabbing #perù
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