Con-ferenza di civiltà
L’8 giugno del 2023, al mio quarto effettivo giorno da Volontario del Servizio Civile presso la Focsiv, son stato mandato dalla mia OLP, Lucia, all’annuale convegno della CNESC, la Conferenza Nazionale Enti Servizio Civile, insieme al nostro collega Primo, tenutasi al Centro Congressi Cavour. La CNESC riunisce ogni anno dipendenti ed esponenti degli Enti membri in un’assemblea, presieduta dalle alte cariche della Consulta, del Dipartimento per le Politiche Giovanili e della CNESC stessa, per fare un bilancio di ciò che è stato il Servizio Civile dell’anno precedente, in un rapporto apertamente condiviso e articolato nell’analisi dei dati raccolti dai contesti del Servizio all’estero e in Italia. Quest’anno il Rapporto CNESC, nello specifico il XXI°, ha illustrato gli aspetti statistici inerenti al Bando del Servizio Civile pubblicato alla fine del 2020, quindi al suo effettivo svolgimento nel corso del 2021.
Per quanto riguarda ciò che è stato possibile evincere dalle presentazioni, la panoramica posta dinnanzi allo spettatore di una realtà completamente nuova, qual ero io, è stata quella di un Servizio Civile con enormi potenzialità di vero coinvolgimento giovanile, di grande crescita nei numeri e nell’impatto positivo sulla civiltà (intendendo società ma in senso più ampio, quasi storico), ancora in parte inespresse. Sulla base delle parole e dei concetti condivisi dai relatori, sembra esserci un’attuale e futura possibilità che il Servizio Civile, per come concepito dalla CNESC, possa scoraggiare il comune senso di sfiducia nelle Istituzioni che spesso si può riscontrare nella fascia giovanile, e incoraggiare la civile partecipazione alla vita della Cosa Pubblica e del Paese.
Gli interventi della presidente della CNESC, Laura Milani, hanno messo in evidenza la reciproca necessità di una relazione costruttiva e di evoluzione che unisca i giovani e il Servizio Civile. I due attori sono emersi come co-dipendenti l’uno dall’altro, ma non senza criticità. Già nel corso del suo primo intervento, la presidente ha parlato di partecipazione dei giovani, appunto, ma articolando il concetto in due riflessioni differenti. In primo luogo ha detto quanto si sia accorta delle loro manifeste necessità, ad esempio nel contesto dell’alluvione recentemente avvenuta in Emilia-Romagna, di individuare un’occasione in cui potessero mettersi a disposizione e alleggerire, anche solo di poco, il peso gravante sulle vittime e sui responsabili dei soccorsi. Successivamente ha tuttavia sottolineato come, nonostante una generale crescita nel numero di candidature, siano state anche registrate alte percentuali di assenza ai colloqui o di rinuncia a prestare servizio, riconducendole ad un evidentemente presente problema di comunicazione. Personalmente, posso trovare una congruenza con le riflessioni della presidente, ripensando banalmente alla perplessità mal celata dei miei coetanei, una volta condivisa la mia volontà di intraprendere il percorso del Servizio Civile. Agli occhi di un ragazzo della mia generazione, e sicuramente anche di quelle successive, la maturata sfiducia nella politica e nelle Istituzioni, giustificabile o meno che sia, sfocia inevitabilmente nella cauta considerazione che noi serbiamo nei confronti di una realtà così legata, almeno sulla carta, ad esse. Anche se non specificato in questi termini, l’osservazione di Laura Milani riguardo all’intrinseco problema di comunicazione attorno al Servizio Civile ed a coloro che istituzionalmente fanno sì che esso sia realtà, è stata tanto sottintesa quanto tristemente puntuale. Come la presidente stessa ha voluto mettere in evidenza, interrogarsi su questa problematica potrebbe portare a formulare delle soluzioni, quali ad esempio una costante collaborazione con le scuole, mediante programmi di Educazione alla Pace e alla nonviolenza, principi cardinale nell’identità stessa del Servizio Civile, per creare dei presupposti di continuità tra le priorità del Servizio stesso e i principi con cui possano andare a crescere le future nuove generazioni. Come detto, i più giovani a volte già sentono dentro di sé l’indole di mettersi a disposizione degli altri; è quindi necessario costruire dei ponti, tramite i quali questo innato istinto di cittadinanza attiva possa essere il più possibile intercettato da una realtà che, come poche altre, è in grado di fornire i canali per esprimerlo al meglio: il Servizio Civile. Tecniche, ma imprescindibili, sono state anche le considerazioni della presidente riguardo alla necessità di rendere sempre più tangibili e certificate le competenze trasversali che l’esperienza di Servizio Civile insegna ai giovani, rispondendo a un nostro, talvolta inconsapevole, bisogno di sviluppo professionale, ma soprattutto umano.
Simile nelle sue destinazioni concettuali è stata anche la relazione del Capo del Dipartimento delle Politiche Giovanili, Michele Sciscioli, il quale ha sottolineato quanto bisogno ci sia di un più fluido dialogo tra i giovani e il Dipartimento stesso, ponendo quest’ultimo come anello di congiunzione di una catena tra loro, i Ministeri e lo Stato. Questo proposito, ha sottolineato, è però fondamentalmente frenato da due fattori: il primo è la burocrazia, rivelazione che non mi ha colto di sorpresa, il secondo è il generale invecchiamento anagrafico del Paese. Tra le conseguenze di questa deriva figura il primato percentuale dei progetti di assistenza (più nello specifico agli anziani), che vanno a togliere spazio e risorse, umane e materiali, a programmi orientati verso altri scopi. Gli auspici finali, con personale speranza che non rimangano poi tali, si sono concentrati su un più solido parlarsi tra i Ministeri, il Dipartimento, gli organi vari e la CNESC, e un consistente taglio degli adempimenti burocratici che gravano sul Dipartimento stesso.
Sebbene durante le oltre due ore di conferenza mi sia trovato quasi costantemente d’accordo sulla valenza degli obiettivi posti e sul peso delle criticità sottolineate, rimango pur sempre un figlio del mio tempo e non ho potuto fare a meno di ascoltare entrambe le campane con le orecchie di chi, in alcuni contesti, non ha mai davvero troppa fiducia nei confronti di certe dichiarate intenzioni. Il mio spirito di ascolto si è poi dovuto spogliare di questi pregiudizi durante quella che è stata la più determinante fase del convegno: la conclusione.
Il programma prevedeva di terminare i lavori con tre testimonianze, portate da tre diversi punti di vista, uniti nella condivisa esperienza di Servizio Civile.
Per prima è intervenuta Marta Romano, ex Operatrice Volontaria dell’AISM ed ora dipendente, che immediatamente ha voluto esprimere come il Servizio sembri in realtà andare ben oltre i 365 giorni lungo i quali, sulla carta, si sviluppa (facendomi sentire quasi ironicamente minacciato), perché una delle sue non ufficiali, ma fondanti componenti, è il ritrovarsi a confrontare se stessi nello specchio di un problema. Una sfida che accompagna nella vita, come durante il Servizio Civile. In quest’ultimo però la formazione e l’OLP ti aiutano a prevenire che quello stesso problema si tramuti in una, come da lei definita, catastrofe.
La seconda testimonianza è stata offerta da Paolo Castelli, da poco tornato da Sarajevo, dove ha prestato servizio per un programma di Educazione alla Pace in un’area che tutt’ora soffre un contesto post bellico a tutti gli effetti. Pur razionalmente e in maniera ordinatamente oggettiva, ha in parte tradito un eloquente trasporto nel raccontare come, dopo quasi trent’anni, il paese e la città siano profondamente lacerati nella divisione di un sofferto vivere, di fatto ereditato. In Bosnia vige una quotidiana diffidenza, dovuta a differenze religiose, ma soprattutto presunte etniche, tra “giovani traumatizzati da una guerra che non hanno neanche combattuto”, come ha testualmente descritto Paolo. La guerra come fallimento della politica, che non va a migliorarla, ma piuttosto la aggrava, ha generato nel Paese un post-conflitto che non diventa pace. Con queste parole Paolo ha voluto sottolineare con decisione ai presenti quanto quindi l’Educazione alla Pace sia in realtà il Rifiuto della Guerra.
Dopo aver silenziosamente sottoscritto annuendo alle parole di Paolo, ha prestato testimonianza Ivano Maiorella. Attualmente OLP per UISP, immerso da anni nell’onere del ruolo di educatore alla pace e alla solidarietà tramite lo sport, Ivano, non so se consapevolmente, ha riassunto perfettamente le testimonianze che l’avevano preceduto all’interno della sua. E’ stato tanto sintetico quanto pacato e convincente nel condividere la sua visione dello Sport, come motore di solidarietà, appunto, e di squadra; lo Sport come sorgente di comunicazione per incarnare e trasmettere all’esterno i valori di inclusione e pace.
Le mie impressioni, in conclusione, si riassumono nella consapevolezza di aver assistito ad una Conferenza diversificata, studiata nel suo ritmo e nella diversa natura delle sue fasi. Non posso tuttavia non porre l’accento sul fatto che, come mi sembra spesso succeda in questo ecosistema a me nuovo che è il volontariato, la più brillante luce di comunicazione e catarsi sia stata emessa dalle testimonianze finali, capaci di tradurre in pratica empatia i buoni propositi del Presidente della Consulta Nazionale Licio Palazzini, del Capo del Dipartimento per le Politiche Giovanili Michele Sciscioli e della Presidente della CNESC Laura Milani.
Niccolò Comboni, Volontario in Servizio Civile a Roma con Focsiv.